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Battaglia di Biserno, le crude testimonianze

L’11 aprile abbiamo partecipato a un’uscita didattica per ricordare gli episodi del ’44. Ecco le storie che ci hanno raccontato

L’11 aprile scorso gli alunni delle classi terze della scuola media di Santa Sofia hanno partecipato a un’uscita didattica a Biserno, realizzata in collaborazione con Anpi, Associazione trekking Tour de Bosc, Peromatto stamperia d’arte e Comune di Santa Sofia, per ricordare la battaglia avvenuta nell’aprile 1944.

Per ricordare questo episodio ci sono una croce e un cippo con scritti i nomi dei partigiani caduti. «La famiglia della mia mamma abitava a Pezzuolo – racconta Orfeo Amadori – un podere vicino a Valbona. I miei nonni materni, Jacopo e Maria, avevano 7 figli. Uno di loro, Versari Francesco, nel gennaio del ’44 era entrato nella Resistenza, partigiano combattente della VIII Brigata Garibaldi.

La mattina del 12 aprile 1944 una colonna tedesca si attestò sulla statale S. Sofia-Corniolo con obiettivo il crinale dei monti Biserno-San Paolo, che erano tenuti da due compagnie partigiane; in una di quelle c’era mio zio. Il compito dei partigiani era quello di rallentare l’avanzata tedesca per dar modo alle altre formazioni di sottrarsi al rastrellamento. I tedeschi aprirono il fuoco e procedettero poi a piedi lungo gli anfratti del crinale.

La battaglia fu cruenta e i tedeschi non riuscivano ad avanzare. Furono però aiutati da una spia che conosceva il territorio, così riuscirono ad aggirare i partigiani prendendoli alle spalle.

Mio zio fu colpito in pieno petto e ucciso, insieme con altri 11 partigiani. Poiché la milizia proibiva ai familiari di avvicinarsi per recuperare i corpi, Francesco rimase 8 giorni sul terreno, vittima di animali randagi. Quando mio nonno Jacopo finalmente riuscì a seppellire il figlio, rimase sconvolto dallo stato del suo corpo. Tornato a casa, non fu mai più la persona di prima: di notte si svegliava e urlava con-tro i tedeschi, era sempre triste e abbattuto, smise di mangiare e si lasciò morire».

«Anche le donne – afferma Milena Tedaldi – hanno partecipato attivamente alla Resistenza. Nora era una staffetta, e portava ciò che serviva ai partigiani che combattevano nelle campagne; doveva arrivare fino a San Zeno.

Andava da Anacleto ad acquistare le sigarette e il sale e lui si stupiva che gliene servisse tanto.

Lei rispondeva che lo utilizzava per conservare gli alimenti; poi, a volte portava anche le armi: nascondeva tutto nel fondo della sua borsa, lo copriva con della verdura, perché se fosse stata fermata per strada avrebbe potuto dire che era andata a comprare qualcosa da mangiare. Consegnava il contenuto delle borse al mulino di Boghi a Poggio alla Lastra, dove i partigiani sarebbero andati a ritirarlo.

Al contrario dei partigiani, che erano conosciuti ed avevano un proprio nome di battaglia, le staffette erano ’segrete’ e dovevano comportarsi come gente comune. Nora aveva un cugino, Giordano Nanni, che era medico a Corniolo e curava anche i partigiani, pur sapendo che era un grosso rischio, mentre il fratello di Nora, Giulio, era un partigiano. A Santa Sofia nei giorni che precedettero la Liberazione, i Tedeschi avevano probabilmente compreso che la guerra si stava concludendo a loro sfavore, così fecero saltare il ponte della Repubblica e il ponte Pantano, per impedire di essere seguiti. Il 17 ottobre i Tedeschi partirono verso Forlì e Santa Sofia fu liberata il giorno dopo da Inglesi, Polacchi, Americani, Partigiani. Il primo mezzo che Nora vide arrivare fu un carro armato inglese che proveniva da Poggio alla Lastra, sul quale c’era suo fratello Giulio».

«Vorrei ricordare anche Giuseppina Venturini – aggiunge Orfeo – da tutti conosciuta come Geppi. A soli 17 anni aiutò dei soldati a sfuggire alla cattura dei nazisti, accompagnandoli in montagna dai partigiani. Reclutata col nome di battaglia di Nadia, rimase poi a combattere fino alla fine militando in un battaglione composto da italiani e da russi, capitanati dal comandante russo Sergej Nicolajevic Sorokin, un ufficiale dell’Armata Rossa.

Era stato catturato dai soldati italiani; fuggito dal campo di concentramento, era poi diventato partigiano a capo della terza Compagnia slava. ’Nadia’ girava armata con una Beretta 7,35, procurava medicinali, vestiti, armi, cibo, curava feriti.

Partecipò alla battaglia di Biserno dove salvò un partigiano di Alfonsine».

Un’altra testimonianza della Resistenza è la canzone triste ma bella Giovanna mia, che racconta la storia del primo partigiano dell’VIII Brigata Garibaldi caduto in battaglia. La sera del 5 febbraio 1944 un gruppo di partigiani della zona decise di attaccare la caserma fascista di Premilcuore, con l’idea di catturare Donna Edvige, sorella di Mussolini, e fare uno scambio con alcuni partigiani detenuti a Forlì. Una serie di circostanze avverse, tra cui una luna insolitamente luminosa e il mancato sabotaggio delle linee telefoniche, si sommarono a una certa dose di inesperienza.

Nello scontro che seguì, Guido Buscherini, detto Stoppa per il colore dei capelli, rimase ferito e morì poi sul monte Tiravento, mentre i suoi compagni tentavano di riportarlo a Santa Sofia a spalla e con una specie di slitta improvvisata. Erano poco più che ragazzi, che si trovavano improvvisamente di fronte alla realtà della guerra. La notizia si diffuse presto fino a Santa Sofia, arrivando anche a Giovanna, la fidanzata di Stoppa. Non molto tempo dopo alcuni Santasofiesi, tra cui Bruno Versari detto ’il poeta’, scrissero una canzone dedicata alla memoria di Stoppa e al suo amore per Giovanna.

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