ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Sciapeconi: «È una storia ricca di speranza»

Gli studenti hanno intervistato l’autore di “40 cappotti e un bottone“: «Un paese ha adottato dei bimbi ebrei salvandoli dall’odio nazista»

Abbiamo incontrato e intervistato uno scrittore, ma prima di tutto un maestro che ci ha insegnato l’importanza di non spezzare il filo della memoria, quello stesso filo che lega i “40 cappotti e un bottone”, titolo del suo ultimo libro. Il maceratese Ivan Sciapeconi è insegnante di scuola primaria a Modena, è autore di guide didattiche, sussidi per insegnanti, libri di testo per la scuola primaria. È autore anche di libri di narrativa per ragazzi. Il libro racconta un fatto vero, intriso di speranza, di solidarietà che illumina come un fascio di luce il dramma della Shoah: nella cittadina di Nonantola, in provincia di Modena, negli anni della Seconda Guerra Mondiale sono stati accolti, nella Villa Emma, 40 ragazzi ebrei; gli abitanti li hanno aiutati a fuggire dall’odio nazista, le sarte del paese hanno cucito 40 cappotti tutti uguali per non destare sospetto e farli sembrare una scolaresca in viaggio. Incuriositi da questo racconto abbiamo deciso di rivolgere alcune domande allo scrittore.

Sciapeconi, la storia a cui si ispira è reale, come ne è venuto a conoscenza e perché ha deciso di farne un romanzo? «Nel paese in cui si trova la villa c’è anche la Fondazione finalizzata ad organizzare eventi dove sono venuto a conoscenza di questa storia. Ho deciso di farne un romanzo anche perché mi ha colpito il fatto accaduto nel 2018 a Macerata dove un pazzo ha cominciato a sparare alle persone di colore. Di questa vicenda ormai non se ne parla più anche se la dovremmo ricordare. Personalmente mi ha sconvolto perché Macerata è la città in cui sono cresciuto ed è generalmente molto tranquilla. Ho deciso di mettere a confronto questo episodio con la solidarietà degli abitanti di Nonantola.

Anche se nel romanzo non c’è questa contrapposizione, per me è stato il punto di partenza di scrittura perché noi dobbiamo meditare il passato che abbiamo ricevuto in dono. Le persone che hanno rischiato la vita per aiutare gli altri ci hanno lasciato un insegnamento di cui dobbiamo farne tesoro, facendo a nostra volta delle scelte coraggiose finalizzate al bene».

Ha incontrato parenti dei ragazzi protagonisti? «Sì, sono stato contattato dalla nipote di una delle sarte che ha contribuito a creare i cappotti per i ragazzi e ho scoperto che questa donna ha 96 anni. Mi ha chiamato e la telefonata è stata molto emozionante perché mi ha ringraziato di aver portato a conoscenza di tutti di questa storia. Ho contattato anche altre persone protagoniste del mio libro ed è stato per me importante».

Se uno di noi da grande volesse diventare uno scrittore, che cosa gli consiglierebbe? «È un mestiere complicato. Per essere un buon scrittore bisogna vivere molte esperienze, scrivere e nel frattempo tenere gli occhi aperti perché lo scrittore innanzitutto è una persona curiosa e bisogna darsi tempo, cercare degli stimoli, ma soprattutto leggere moltissimo».

Lei è un maestro delle elementari e ha deciso di scrivere libri per bambini. In questo libro i bambini sono i protagonisti, cosa rappresentano per lei? «Il libro è destinato a un pubblico dai 9 ai 99 anni perché parla e dà un insegnamento a tutti.

Per me queste piccole creature sono incanto, creatività, fantasia e guardano il mondo con occhi diversi rispetto agli adulti, che crescendo perdono questa componente magica. Fortunatamente quando diventiamo grandi riconosciamo e riscopriamo il valore fondamentale di rimanere bambini dentro, dobbiamo semplicemente fare attenzione a non perderlo».

Infine, ci potrebbe dare dei dettagli non presenti nel romanzo? «Alcuni di questi ragazzi non sono partiti per la Svizzera, ma sono rimasti in Italia e sono diventati partigiani, hanno cominciato a combattere contro i nazifascisti e sono venuti nelle Marche. Quindi ci sono diramazioni che non ho potuto inserire nel romanzo, ma comunque interessanti da scoprire».

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