ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado G. Ugonia di Brisighella (RA) - 2A, 2B

Romagnolo, una lingua da mantenere viva

I nostri nonni rischiano di essere gli ultimi a parlarlo: tocca alle nuove generazioni impedire la scomparsa della tradizione orale

Il dialetto romagnolo riuscirà a sopravvivere allo scorrere del tempo? Da una recente analisi sono emersi i seguenti dati: in Italia il 14% della popolazione parla solamente il dialetto, il 32% si esprime sia in italiano sia in dialetto, infine il 42% utilizza esclusivamente la lingua italiana. Ciò non dovrebbe preoccupare, se non fosse che quel 14% rappresenta una fetta di popolazione perlopiù anziana: questo significa che, purtroppo, il dialetto romagnolo si sta pian piano estinguendo, perché i ragazzi di oggi non lo parlano né lo studiano. A molte persone piacerebbe che si parlasse di più anche tra i giovani, tant’è che in numerose città come la vicina Faenza, Forlì ma anche Imola,  vengono organizzati dei corsi per fornire le basi di questa meravigliosa lingua. Doveroso sottolineare che talvolta queste lezioni vengono tenute in bar e caffè, infatti non c’è niente di meglio di godersi una bevanda o un tramezzino mentre si impara una lingua! Procediamo però con ordine: il dialetto romagnolo (alcuni affermano che abbia l’accento più bello d’Italia) è una lingua appartenente al gruppo galloitalico e si è sviluppato dal latino seguendo un’evoluzione autonoma; in base ad un calcolo approssimativo, circa il 90% del lessico romagnolo deriva dalla lingua degli antichi romani. Vi si rivelano però anche evidenti influenze dalla lingua celtica ed influssi dalle parlate germaniche e franche.

Anche se il dialetto cambia di città in città (talvolta pure da paese a paese), esistono alcune espressioni romagnole che tutti ci invidiano: ’ma va là’, esclamazione dal valore universale che funziona bene sia quando vuoi rispondere “figurati!” a chi ti ringrazia, sia per esprimere scetticismo a una notizia; ’ciò’, intercalare di cui il vero romagnolo non può fare a meno, spesso preceduto da un liberatorio ’uei’, è utilizzato per dare una sfumatura di impotenza e di incapacità di rispondere o proporre un’alternativa; ’patàca’, tutti ne conosciamo uno, o almeno una volta nella vita abbiamo dovuto ammettere che noi stessi lo siamo stati. Il proverbiale momento del patàca è proprio quella circostanza in cui, per distrazione, disgrazia o scarsa intelligenza, ci si ritrova a fare qualcosa di sciocco, di cui non ci si rende conto sul momento. Infine l’ormai proverbiale ’tin bota’, reso  internazionale dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ha lanciato un messaggio di solidarietà e speranza per le persone colpite dall’alluvione del maggio del 2023 utilizzando questa espressione traducibile in “Forza, non mollare”. Bisogna poi prestare attenzione ad andare in Romagna senza avere una certa conoscenza di questo linguaggio, perché ci si potrebbe trovare in situazioni parecchio imbarazzanti: se doveste qualcuno dire per strada “Uei ciò, che bel basterd”, sappiate che non si tratta di un insulto quanto di un complimento per un fanciullo particolarmente carino. A tal proposito, a parte quello citato sopra, esistono diversi modi per dire ’bambino’ in romagnolo: ad esempio burdèl, tabàc oppure babì. In conclusione i giovani hanno il dovere di mantenere viva una tradizione così antica e peculiare, di modo che questo dialetto rimanga ancora un tratto distintivo di chi abita questa terra meravigliosa. Dunque, che aspetti? Impara un po’ di romagnolo, l’è mej.

Classe 2^ B Scuola media ‘Ugonia’ di Brisighella Professoressa Martina Pini

 

L’eccessivo utilizzo di internet sui dispositivi elettronici può portare a problemi fisici come disturbi visivi, disfunzioni vascolari e cardiache conseguenti alla diminuzione dell’attività fisica oltre che problemi di salute mentale come ansia e depressione. La tecnologia sta distruggendo milioni di giovani cervelli: si stima che i teenager di oggi in futuro avranno un quoziente intellettivo minore delle generazioni precedenti.

In Italia circa 8 milioni di ragazzi crescono in un mondo digitalizzato: quasi il 95% tra i 14 e 19anni utilizza internet e 300 mila ne sono dipendenti.

Lo sviluppo tecnologico cambia i concetti di tempo e spazio, può alterare le capacità cognitive, attiva alcune competenze a discapito di altre, altera il ritmo sonno-veglia. Secondo quanto emerso le nuove generazioni dimostrano grande fiducia nell’AI dato che il 20% dei ragazzi ritiene che il nostro futuro sia strettamente legato all’intelligenza artificiale, mentre le generazioni precedenti continuano a ritenere fondamentali altri orientamenti.

Come limitare i danni e ridurre l’attività online? Ecco i tre metodi essenziali che la nostra classe suggerisce per “disintossicarsi”.

1.Disattivare le notifiche per-ché creano la forte tentazione di dare un rapido sguardo che può innescare una serie infinita di altre visualizzazioni che distolgono l’attenzione e interrompono il flusso di lavoro.

2.Mettere in bianco e nero il proprio schermo per moderare la quantità di tempo passato a fissarlo. L’impostazione cromatica che solitamente utilizziamo ci induce ad un coinvolgimento più profondo.

3. Mettere il cellulare in modalità aereo consente di staccarsi un po’ dal telefono utilizzandolo solo in caso di emergenze e contribuisce a creare uno spazio di riflessione e tranquillità, riducendo al contempo le distrazioni e favorendo una connessione più consapevole con l’ambiente circostante. In un’epoca in cui la tecnologia è onnipresente, trovare un equilibrio sano tra l’uso dei dispositivi e il benessere psico-fisico diventa cruciale. Solo attraverso un approccio consapevole e limitato si può sperare di ridurre gli impatti negativi della navigazione in rete sulla vita quotidiana e preservare la salute delle generazioni future.

Francesco Arbia e Nicola Renzi Classe 2^ A Scuola media ‘Ugonia’ di Brisighella Professoressa Elisa Mercatali 

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