ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Sant'Angelo in Vado di Sant'Angelo in Vado (PU) - 3A

Maria, Clara, Vilna: tre donne per tre vie

La comunità vadese non dimentica tre figure importanti che hanno segnato il nostro Novecento. Cittadine esemplari per ogni generazione

I fatti e le persone esistono nel momento in cui li si racconta, allora diventano memoria collettiva e contribuiscono a creare quel senso di comunità che rende le singole persone membri di una comunità. Questo abbiamo scoperto grazie al progetto proposto dal Comune di Sant’Angelo in Vado a noi ragazzi della Scuola Secondaria. Il progetto consisteva nel ricercare informazioni su donne del nostro paese, che si erano distinte e per questo meritavano di essere ricordate attraverso l’intitolazione di vie. La nostra attenzione, confrontandoci con nonni e conoscenti, è ricaduta in particolare su tre donne: Wilma Clementi, Clara Polverari e Maria Panichi.

Abbiamo fatto incontri con i loro parenti per farci raccontare le loro storie, ci siamo consultati con l’Amministrazione Comunale di Sant’Angelo in Vado e abbiamo celebrato l’inaugurazione delle tre vie a loro dedicate.

L’insegnamento tratto da questa esperienza è che non sono la situazione economica, la bellezza o la forza a renderti un eroe ma il cuore, la generosità e l’empatia. Di seguito racconteremo le storie delle tra donne, partendo da Clara Polverari, che nella vita ha fatto una delle cose più preziose che esistano… Aiutare altre donne a far nascere bambini. Questo l’ha fatta diventare una “grande donna”.

Clara Polverari è nata tanto tanto tempo fa in una città dell’America chiamata New Haven. I suoi genitori erano stati costretti a emigrare per lavoro, ma erano rientrati successivamente. Quando qualcuno le chiedeva «raccontami di te e del tuo lavoro» lei era solita rispondere: «Il mio lavoro è stato molto impegnativo e faticoso, ma è stata la mia passione». E questo perché ad ogni donna a cui prestava la propria assistenza, si affeziona a tal punto che le sembrava di entrare a far parte di quella famiglia. Il suo ruolo non finiva infatti al momento del parto, ma continuava anche durante i primi anni di vita del bambino. Era così appassionata al suo lavoro che anche durante le feste o la domenica, non esitava a partire quando la chiamavano per i parti e le prime cure del bambino.

Lei raccontava che all’inizio del suo lavoro le donne partorivano in casa, in campagna. Che sia di giorno o di notte, quando si presentava un urgenza doveva andare in queste case. A volte con il somaro a volte a piedi.

Un giorno doveva recarsi in una casa di campagna ma c’era tanta neve, quindi il marito della donna incinta era venuta a prenderla con un somaro. Lei era salita sull’animale, a metà strada poiché c’era una buca coperta dalla neve è caduta e si e fatta male e per farla arrivare a casa della donna partoriente l’hanno dovuta caricare in spalla. Era una donna coraggiosa. Le persone qui a Sant’Angelo in Vado la ricordano come “la paletta” quella donna così piccola ma decisa e sicura che faceva del suo lavoro un qualcosa di speciale.

Classe III A

 

Maria Panichi, donna estremamente umile, ha speso tutta la sua vita a servizio dell’ ex ospedale San Paolo di Sant’Angelo in Vado. Era gentile con tutti, in modo particolare verso chi si trovava in difficoltà. Era vissuta durante la seconda guerra e nel dopoguerra: anni tremendi quelli, di fame, di freddo, di malattie, di dolore e di povertà. Maria, essendo una donna povera, era stata accolta nella struttura ospedaliera, senza retribuzioni, senza tutele e senza orario di lavoro, per un tozzo di pane, un letto quando c’era libero, nel dormitorio o su una sedia, spesso accostata al letto di un malato, al quale prestava assistenza. Quella di Maria era la condizione miserissima di una senza famiglia. Maria era la donna di fatiche, ma principalmente era la lavandaia dell’ospedale; i posti letto erano circa una trentina, nel bisogno qualcuno in più. Ciò significava una montagna di lenzuola da lavare alle rive del fiume Metauro, in ginocchio, ore e ore.

Molto spesso d’inverno doveva rompere il ghiaccio per far scorrere l’acqua imprigionata. Per lei solo doveri, neanche l’ombra di diritti, ma, nonostante questo, povera tra i poveri, non ha mai fatto mancare il proprio sostegno ad alcuno. Conoscere la storia di Maria ci ha permesso di riflettere sulla povertà di quel tempo, dove l’attenzione principale si dava, nonostante tutto, agli altri. La sua storia è un insegnamento per il nostro futuro.

 

 «Occupatevi soprattutto dei tanti che si trovano nel bisogno, ma non osano chiedere o non hanno la possibilità di farlo. Ricordatemi prendendovi cura degli altri, e fatelo come l’ho fatto io, nel silenzio e nella riservatezza più completi».

I princìpi che animarono l’intera vita di Vilna Clementi sono tutti riassunti in questa sua frase. Nata nel 1888, è stata prima maestra di giardino d’infanzia montessoriano e successivamente maestra elementare. Dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, di fronte all’emergenza assistenziale creata dal gran numero di feriti gravi che affollavano gli ospedali delle principali città italiane, Vilna decise di lasciare temporaneamente l’insegnamento, la famiglia e Sant’Angelo in Vado, per dedicarsi come infermiera volontaria all’assistenza dei malati e dei feriti in arrivo dal fronte. Fino al secondo dopoguerra tornò a fare la maestra. In parallelo alla sua attività di insegnante, Vilna non trascurò mai l’assistenza agli indigenti, ai malati e ai bisognosi di aiuto, compresi gli ebrei, condotti dalle autorità e dalle forze armate nazifasciste a Sant’Angelo in Vado. Alla famiglia di Vilna fu requisita una parte della casa dove abitava, per adibirla ad alloggio dei coniugi Pacht, internati ebrei appartenenti alla borghesia viennese.

In questo frangente, Vilna con tutta la sua famiglia si adoperò in ogni modo per alleviare le condizioni di vita di quei “suoi” internati, sia dal punto di vista materiale che morale. Purtroppo la famiglia ebrea fu trasferita in Romagna, e successivamente fucilata a Forlì. A guerra conclusa, Vilna si attivò per conoscere il destino dei “suoi” ebrei e scoprire il luogo della loro sepoltura, per offrire a sue spese una tomba nel cimitero di Sant’Angelo in Vado. Con il suo pensionamento, a fine anni ’40, poté dedicarsi a tempo pieno alle sue attività assistenziali e caritatevoli. Ottenuto in uso dalla amministrazione comunale lo stabile abbandonato dell’antico ospedale, lo riadattò per creare dal nulla un ospizio per gli anziani indigenti. La morte la colse con un malore improvviso mentre stava lavorando per i “suoi vecchi”, ospitati nella Casa di Riposo alla quale aveva dedicato oltre 40 anni della sua esistenza. Aveva 92 anni. Il più anziano di quei “suoi vecchi” ne aveva circa 15 meno di lei.

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