ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Ramadori di Monte San Pietrangeli  (FM) - 3H

Il consumismo è il primo nemico dell’ambiente

A iniziare dalla cosiddetta ’fast fashion’: la popolazione mondiale utilizza circa 80 miliardi di vestiti nuovi ogni anno

Il consumismo è il principale nemico della tutela ambientale. Si producono sempre nuovi beni, al di là dei costi della nuova produzione e dell’inquinamento derivante dai processi produttivi. Ciò che si possedeva prima non è più necessario e quindi uno scarto. Diventa un rifiuto, che non è tale perché vecchio, inutilizzabile, rotto, o perché è giunto al termine della propria vita utile, ma, solo perché non più alla moda. La popolazione mondiale utilizza circa 80 miliardi di vestiti nuovi ogni anno. L’industria tessile e della moda è un’immensa fonte d’inquinamento. Vengono utilizzate principalmente fibre sintetiche e di conseguenza, le microplastiche che derivano dai lavaggi dei capi vanno ad inquinare i mari. Inoltre, l’industria dell’abbigliamento è la seconda a richiedere più quantità di acqua (700 litri per produrre una maglietta, 2000 per un paio di jeans). Si parla, in particolare, di ‘fast fashion’ (moda veloce) termine, coniato negli anni ’90, che indica la moda sempre più diffusa di produrre vestiti economici in tempi rapidissimi assecondando le tendenze. Da qui l’enorme impatto su emissioni di gas serra, produzione di rifiuti, sfruttamento dei lavoratori. Infatti, l’industria tessile produce circa il 10% delle emissioni di carbonio nell’atmosfera. Si stima che nel 2014 il cittadino medio possedesse il 60% di abiti in più rispetto al 2000. Si comprano più vestiti e più spesso, ma li si utilizza per molto meno tempo e li si getta molto più facilmente: il tutto per restare sempre ‘trendy’. Questo fenomeno ha anche risvolti sociologici: vogliamo tutti le stesse cose, con conseguenti mode molto veloci, ‘trend’ che durano pochissimo tempo, costringendo la produzione a cambiare molto rapidamente. Alcune di queste aziende, potrebbero essere, ad esempio, Shein, Bershka, H&M, Primark, Terranova e Zara. Ma quali sono le realtà dietro a questi fenomeni? Per essere in grado di offrire prodotti a così basso prezzo in poco tempo, è necessario abbassare i costi di manodopera e cercare strategie efficaci per rendere i processi di produzione veloci ed efficienti. Ciò comporta il rischio di: condizioni dei lavoratori con salari bassi e molte ore di lavoro svolte in luoghi poco idonei che diventano spesso causa di problemi di salute anche gravi e posizioni sociali non molto alte. I teatri di tali situazioni sono Paesi ancora poco sviluppati industrialmente, come Vietnam, India e Bangladesh.

Classe III H

Gli alunni della classe III H della scuola media ‘Ramadori’ di Monte San Pietrangeli, coordinati dalla prof Elisabetta Santarelli. Classe III H: Davide Acquaviva, Elisa Bracalente, Alessandro Chiurchiù, Vittoria Cudini, Diego Elia, Irene Fonti, Marco Giacinti, Giorgia Mercanti, Omar Moschini, Federica Pilotti, Elena Pinciaroli, Lucrezia Scoccia e Adele Tomassini. I cornisti hanno dedicato la pagina del campionato di giornalismo, alla riflessione sul consumismo, come ‘principale nemico della tutela ambientale’. Hanno posto riflessioni in merito, applicate all’industria tessile e allo spreco alimentare. Hanno inoltre proposto ai lettori, possibili soluzioni consistenti in atteggiamenti di vita quotidiana contro il consumismo.

Il consumismo del cibo è una cosa molto grave per l’ambiente e anche molto importante da trattare. Lo spreco alimentare è il fenomeno della perdita di cibo ancora commestibile che si ha lungo tutta la catena di produzione e di consumo, e che caratterizza soprattutto i Paesi ricchi. Contribuisce inoltre in maniera rilevante ad una varietà di impatti ambientali a scala locale e globale: emissioni di gas serra, deforestazione, perdita di biodiversità, diminuzione di fertilità dei suoli, inquinamento delle falde acquifere e scarsità idrica. Inoltre una grandissima parte del cibo si spreca durante il processo di produzione degli ali-menti. Solo in Italia il valore dello spreco alimentare si aggira intorno agli 8 miliardi di euro ogni anno e la quantità di cibo che finisce nella spazzatura è pari a circa 300 mila tonnellate, mentre in Germania e Regno Unito è pari a 892 e 859 grammi. Gli Stati Uniti sembrano incorreggibilmente portati allo spreco. Se gli americani mangiassero meglio risparmierebbero fino a 50 miliardi di dollari all’anno ed entro il 2030, molti di loro saranno obesi. Migliaia di persone affamate corrono ai ristoranti fast food di McDonald’s, con il rischio di compromettere la salute dell’organismo attraverso l’acquisto e il consumo di hamburger, che potrebbero far ammalare la gente se prodotti con ingredienti chimici e nocivi, e camuffati come alimenti irresistibili per il benessere di tutte le persone. Il fegato, i reni e il cuore vengono gravemente danneggiati dal consumo di certi alimenti che tendono a superare le 1.000 calorie, con irresponsabilità sociale a danno della salute di tanti e fedeli clienti. Nel 2012, McDonald ha detto che si riforniva di carne a Central Valley Meat, luogo temporaneamente chiuso a causa di una serie di video che mostrano mucche picchiate e lasciate agonizzare.

Classe III H

Il consumismo è la manifestazione del bisogno di acquistare continuamente nuove merci e nuovi servizi, con scarso interesse all’effettiva necessità che si ha di essi, alle conseguenze ambientali della loro produzione e smaltimento. Ne esistono diverse tipologie: ad esempio quello alimentare e vestiario. Proponiamo le possibili soluzioni in questi campi di consumismo. Per ridurre lo spreco di cibo pensiamo sia opportuno evitare di comprare prodotti in modo esagerato senza vera necessità; donare gli avanzi a persone più bisognose; prima di comprare, bisognerebbe utilizzare prodotti che già si hanno; stare attenti alle scadenza degli alimenti; cercare di acquistare prodotti di stagione o a Km 0. Per ovviare al problema del consumismo del vestiario, evitare di comprare una grande quantità di vestiti; cercare di comprare brand italiani nelle piccole botteghe a scapito dei grandi colossi; per i bambini taglie leggermente più grandi, per far si che durino di più, evitando di comprarli con più frequenza; riciclo dei vestiti; scegliere tessuti sostenibili; prendere in prestito o affittare capi di abbigliamento.

Classe III H

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