ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

IC Folignano di Maltignano (AP) - 1B - 3A - 2B

L’esempio di una famiglia unita

La storia di Enrica Angelini, il marito Pietro Scattolini e dei loro 5 figli ai tempi della Seconda Guerra mondiale

Enrica Angelini viveva con la sua famiglia, a Cagnano di Acquasanta Terme, una vita tranquilla con suo marito Pietro Scattolini, agricoltore, e i suoi 5 figli: Serafino, Filomena, Italo, Umberto e Vittorio. Un giorno si presentarono a casa dei carabinieri con una cartolina di precetto per Vittorio, al momento non in casa. Il padre, allora, rifiutò la lettera e li mandò via. Vittorio non rispose alla chiamata e scappò a casa dello zio, Quinto.

I fascisti, dopo un po’, si recarono a casa Scattolini per una sgradita sorpresa: arrestarono Enrica, che fu trattenuta una notte alla caserma di Acquasanta e fu poi trasferita ad Ascoli Piceno. Dopo qualche giorno fu deportata al campo di concentramento di Servigliano. Per fortuna non fu sottoposta a grandi maltrattamenti. Essendo una casalinga aiutava con la pulizia e la cucina. Ma l’amore di Enrica per la sua famiglia non poteva essere fermato da quelle mura.

Lei era infatti solita cucire vestiti per la sua famiglia e allora si inventò un modo per continuare a farlo: prendeva le coperte militari del campo, le sfilava e con i fili faceva maglie e calzini che poi spediva alla famiglia. A Enrica fu concesso di tornare a casa per le feste natalizie, ma il 31 dicembre del 1943 nevicò fortemente e rese impossibile il ritorno della donna al campo di concentramento e, per sua fortuna, non ci tornò più. Enrica continuò la sua vita da mamma di famiglia e in seguito da nonna e, nonostante tutto, non per-se mai il sorriso. Nel frattempo suo figlio Vittorio si era rifugiato a Funi dallo zio. Per via dei continui controlli nazifascisti, era costretto a dormire in una grotta con un ex prigioniero americano di nome Reginaldo. Purtroppo un giorno bussarono alla porta sette o otto uomini (fascisti e tedeschi) armati di tutto punto.

«Un soldato mettendomi le mani al collo mi chiese di che classe fossi e io risposi con una bugia dicendo di essere del 1926 e che mi trovavo presso gli zii per aiutarli nel lavoro dei campi» rilasciò Vittorio. «A me andò bene, ma i militari presero il povero Reginaldo e mio zio Quinto, che malgrado i bandi tedeschi aveva dato rifugio all’americano per vari mesi». Quinto fu portato in caserma ad Ascoli e uscì dopo pochi giorni per le testimonianze dei compaesani che l’ex prigioniero fosse lì da pochi minuti. Di Reginaldo non si seppe più nulla; si pensa che, purtroppo, sia stato ucciso. Vittorio visse una lunga vita, morì a 96 anni nell’agosto 2021. Questa storia dimostra quanto sia forte il legame familiare, come non ci sia cosa che riesca a tenere separata la famiglia.

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