Azzolini e ‘La strada più pericolosa del mondo’
Protagonisti sono tre fratelli anni che percorrono a piedi 100 chilometri ogni anno per andare dal loro villaggio fino a scuola
Il romanzo ‘La strada più pericolosa del mondo’ racconta di una storia vera, rendendoci partecipi di un viaggio attraverso la Ciadar, una delle strade ritenute fra le più pericolose al mondo. Ci troviamo nella regione del Kashmir, nell’estremo nord della regione indiana. La storia si snoda tra i rilievi dell’Himalaya, del Karakorum e fiumi ghiacciati. Manjula, Arun e Waman, i protagonisti, sono tre fratelli di 12,10 e 7 anni e annualmente percorrono 100 chilometri a piedi in quattro giorni di viaggio, partendo dal loro villaggio, Zangla, fino ad arrivare alla scuola di Leh, per rimanervi per tutto l’anno scolastico. I ragazzi non saranno però soli: ad accompagnarli ci saranno il padre Latak e lo zio Hari.
La figura dell’adulto rimarrà sempre con loro, sia concreta-mente, sia nei loro pensieri: un esempio ne è la nonna, rappresentata dal te chai, donato a Manjula, che riscalderà le loro notti al gelo. I principali temi sono la famiglia, il viaggio come metafora della vita, da affrontare sempre con coraggio, e la lotta per i propri sogni. Manjula vorrebbe diventare dottoressa per poi aprire uno studio a Zangla, Waman invece un ingegnere. Per raggiungere questi obiettivi devono istruirsi e per fare ciò sono disposti ad esporsi a tutti i rischi che il viaggio comporta. Il libro permette di riflettere sull’importanza dell’istruzione, chiave per il raggiungimento dei propri obiettivi, tanto da spingere molti bambini a rischiare la vita pur di trovarsi tra i banchi di una classe. Si consiglia la lettura di questo libro a tutti coloro che sono assetati di fatti e storie vere, ma anche a chi ancora mette in dubbio la centralità dell’istruzione.
Arun, uno dei protagonisti, racconta: «La scuola per me era tutto. Voleva dire amici, cose nuove da imparare, momenti felici e tanti giochi da fare insieme agli altri. Voleva dire anche impegno e sacrificio ma questo non mi aveva mai spaventato. Nonostante avessi solo dieci anni, avevo le idee chiare e sapevo una cosa importante che ricordavo spesso nei momenti difficili: anche quando le cose non vanno bene, anche quando un compito in classe o un’interrogazione non va per il verso giusto non serve a niente preoccuparsi. Basta fermarsi a riflettere, pensare con calma e ricominciare ancora una volta, impegnandosi più di prima. Perché è soltanto andando a scuola che i sogni custoditi nel cuore si possono avverare, ed è così che ci si prende cura di loro».
LA REDAZIONE
Gli alunni della classe I A della scuola media ‘Annibal Caro’ di Montegranaro, coordinati dalla professoressa Vincenza Adesso.
Classe I A: Carole Andrea Bartolini, Anastasia Campetella, Sofia Chen, Carlo Ercolani, Arwa Essakali, Filippo Mancini, Luca Marcotulli, Lorenzo Pagliaricci, Emma Papiri, Luigi Sabatino, Lorenzo Scoppa, Amelia Strappa, Stanislau Tiburzi, Mirko Tirabasso, Giulia Torresi, Matteo Stanislav Torresi, Filippo Trobbiani, Dorotea Vecchi, Alice Vitali, Mubashar Ali Warsi, Daiam Zafar e Cesare Zampetti. I cronisti hanno dedicato la pagina del campionato di giornalismo, al tema dell’importanza dell’istruzione dei bambini di tutto il mondo.
Luca Azzolini, autore del romanzo ‘La strada più pericolosa del mondo’, a 39 anni ha già scritto più di settanta libri.
Perché ha scelto il tema della scuola? «Un tema per me molto importante e ritorna anche in altri miei libri, ad esempio ‘Dragon game’, romanzo che parla di bullismo tra i banchi di scuola, un argomento che ho particolarmente a cuore, visto che da ragazzino ne sono stato vittima.
Ma quando mi sono imbattuto nella ‘Ciadar’, la strada più pericolosa del mondo, ero alla ricerca di una storia che illustrasse il sacrificio di andare a scuola».
Fin da subito ha pensato di scrivere questo tipo di libro? «Per me questo è un libro molto importante perché è stata la mia prima storia vera. Avevo voglia di scrivere storie vere e quando ho letto della vita dei bambini del Kashmir, mi è venuta voglia di raccontare la loro avventura. Ritengo che siano le storie che vengano a bussare alla spalla dello scrittore, non è lo scrittore a cercarle».
Avrebbe il coraggio di affrontare quella strada per andare a scuola? «Il Luca di 11-12 anni sarebbe rimasto al villaggio di Zangla, il Luca più maturo invece avrebbe rischiato. Sono una persona molto testarda, sempre impegnata per raggiungere l’obiettivo. Alla vostra età giocavo a fare lo scrittore e a 18 anni ne ho avuto la piena consapevolezza.
Ho scritto un primo romanzo ma non l’ha voluto nessun editore, e così per i tre successivi. Ma non mi sono arreso e il quinto è diventato il mio primo libro pubblicato».
C’è un’esperienza personale che l’ha spinta a scrivere questa storia? «Con questo libro volevo trasmettere quanto per me la scuola fosse stata importante. La scuola ci permette di capire le cose che ci piacciono realmente, ci insegna quello che può essere il nostro percorso».
Ogni giorno più di 123 milioni di bambini rischiano la vita per andare a scuola. Esistono vari tipi di barriere che ostacolano il diritto all’istruzione: architettoniche, fisiche e culturali. Spesso nel nostro Paese sono state denunciate strutture non ancora attrezzate ad accogliere persone con disabilità fisica. Spostandosi di qualche migliaia di km incontriamo la guerra tra Ucraina e Russia o quella a Gerusalemme. Quotidianamente i bambini di questi Paesi percorrono campi da guerra e incontrano blocchi militari per raggiungere la propria scuola. In altre parti del mondo le barriere sono create dalla natura stessa, come accade ad esempio in Colombia. Qui i bambini attraversano la valle del Rio Negro con una carrucola ad altezze elevate. In Cina invece, i ragazzi del villaggio di Pili, a fine trimestre, devono affrontare un viaggio di due giorni attraversando torrenti, dirupi e scalando montagne. A Beldanga, in India, i bambini vanno a scuola ammassati su un tuktuk: piccolo carro a tre ruote. Anche in Indonesia i ragazzi erano costretti tutti i giorni ad attraversare il fiume Ciberang, rischiando di morire affogati: l’unico appiglio era un ponte di legno gravemente danneggiato.