«Vi racconto come accogliamo i rifugiati»
La dottoressa Elena Fasano dell’Ambulatorio migranti di Ravenna illustra gli aspetti che stanno dietro al fenomeno degli sbarchi
I fenomeni migratori sono una questione di drammatica attualità in Italia. Per approfondire il tema, abbiamo intervistato la dottoressa Elena Fasano, che ci ha parlato del suo lavoro nell’Ambulatorio Migranti del Distretto di Ravenna, in prima linea a dicembre 2022 in un intervento di soccorso sui migranti della Ocean Viking. La nave aveva aiutato in un intervento di salvataggio 113 persone in difficoltà (83 uomini e 30 donne. Di questi 35 erano minorenni e non accompagnati). Nessuno di loro veniva dal Nord Africa e ciò vuol dire che avevano in precedenza percorso un lungo viaggio attraverso il deserto del Sahara.
Nel corso del viaggio avevano contratto malattie come la scabbia, che è stata presa in carico dal Dipartimento di Sanità Pubblica. I quattro medici dell’Ambulatorio migranti ritengono estremamente importante, inoltre, rilevare eventuali difficoltà psicologiche e traumi che possono aver subito le persone accolte che, spesso, hanno lasciato genitori, fratelli, figli e un mondo spesso fatto di povertà, persecuzioni e costrizioni.
Per conoscere meglio le realtà e tutti gli aspetti che stanno dietro il fenomeno delle migrazioni abbiamo posto alla dottoressa Fasano diverse domande.
In che cosa consiste il vostro intervento quando vi trovate di fronte a un migrante? «Il personale dell’Ambulatorio (servizio afferente al Dipartimento di Cure Primarie di Ravenna) è costituito dai volontari della Croce Rossa Comitato di Ravenna e da quattro medici di Continuità assistenziale. L’equipe accoglie le persone in Ambulatorio e per prima cosa parla con loro. Ci facciamo raccontare informazioni sul viaggio, chiediamo se hanno sintomi legati a problemi di salute risolvibili. Se ce ne parlano o se rileviamo malattie, ce ne prendiamo cura. A volte sospettiamo la tubercolosi che va trattata, perché è molto trasmissibile. Ci assicuriamo anche che vengano fatte tutte le vaccinazioni più importanti ai bambini. Se hanno bisogno di supporto psicologico cerchiamo poi di fornire tutto l’aiuto possibile con personale specializzato. Da questo punto di vista, ci sono due tipi di migranti: c’è chi non parla o nega le cose brutte che gli sono accadute, probabilmente perché vuole dimenticare, e c’è chi racconta le torture e i maltrattamenti, per esempio le torture ai piedi che vengono fatte perché non restano i segni».
Come fate a comunicare con i migranti? «Grazie ai mediatori, che ci aiutano con moltissime lingue. Molti migranti parlano in inglese, ma se non lo sanno ci avvaliamo, appunto, dei mediatori che sono preziosi perché non solo traducono, ma ci fanno da ponte anche tra diverse culture».
Quali sono i Paesi da cui provengono più migranti? E quali i meno rappresentati? «Provengono principalmente da Pakistan, Iran, Iraq, Afghanistan. La rotta balcanica ultimamente sembra poco praticata forse perché molto rischiosa, ma chi la percorre arriva a Trieste. Ci mettono anche anni ad arrivare alla loro destinazione, perché si fermano a recuperare soldi lavorando e, a volte, si fanno male e devono restare fermi mesi. L’altra rotta è quella del Mediterraneo. I migranti provengono dall’Africa e passano per il deserto (viaggio molto rischioso e faticoso). Arrivano principalmente in Libia e restano nei centri di detenzione, dove vengono imprigionati, torturati e costretti a lavori forzati. Questi migranti provengono principalmente da Somalia, Costa d’Avorio, Guinea, Mali e dal Corno d’Africa».
Che cosa viene dato ai migranti appena arrivano a Ravenna o in un altro porto italiano? «All’arrivo vengono date coperte per scaldarsi, perché solitamente arrivano vestiti in modo molto leggero, giochi per i bambini, cibo e bevande calde».
Raccontano le loro vite e il viaggio che hanno appena vissuto o si tengono tutto dentro? «Varia da persona a persona.
Chi non parla preoccupa molto di più di chi racconta. Ricordo una donna che ci aveva detto di non aver subito nessun abuso, ma capimmo che non era così perché sua figlia, appena venne allontanata da lei, iniziò ad urlare ed era visibilmente impaurita. Dai bambini si capisce molto di più cosa è accaduto in precedenza. Alcuni migranti temono di non essere accettati in Italia se hanno problemi di salute. Per questa ragione è importante spiegare loro quali sono i diritti e le tutele del nostro sistema sanitario».
Qual è la storia che l’ha colpita di più? «In realtà molte. Mi ricordo quella di una ragazza tra i 20 e i 30 anni che veniva da un passato molto triste. La famiglia le aveva fatto fare un matrimonio combinato e suo marito la picchiava.
Inoltre aveva subito violenze nei campi in Libia. Quanto è arrivata le abbiamo dato un modulo da compilare e lei ha detto che non sapeva rispondere perché era “ritardata”, ha usato questa parola. Non era assolutamente vero, ma glielo avevano fatto credere forse come forma di controllo» Che cosa l’ha spinta a fare questo lavoro? «Principalmente volevo aiutare e alleviare le sofferenze altrui.
Questo lavoro ti fa sentire realizzato, ed è molto bello instaurare rapporti profondi con colleghi e pazienti. Io sono stata tre anni in Canada e, più o meno (anche se da migrante privilegiata), so cosa vuol dire migrare ed andare in un Paese dove non si conosce nessuno».
Ci sono dei migranti che vorrebbero tornare nel loro Paese subito dopo essere arrivati in Italia? «Tutti vorrebbero tornare nel loro Paese, perché hanno abbandonato la famiglia, i figli… ma sono tutti molto determinati a restare. Soprattutto se fuggono da violenze domestiche o dalla guerra, perché sono contenti di essere liberi e al sicuro».
Chi non è medico come lei può aiutare in qualche modo? «Certo! Può fare volontariato in una delle associazioni che collaborano con l’Ambulatorio Migranti, ma l’aiuto più grande che tutti possono dare è integrare i migranti e vederli come una risorsa e una ricchezza».
Giada Nloga, Jacopo De Marchi, Filippo Bertuzzi I.C. 7 Imola (“Orsini”)