ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Dante Arfelli di Cesenatico (FC) - 3A

«Lo psicologo ascolta le nostre ansie e paure»

Nel colloquio con l’esperto c’è prima una fase di familiarizzazione, in cui si conosce un po’ lo studente, poi si cercano le soluzioni

Lo sportello d’ascolto nell’anno 2022/23 ha avuto un grande successo, infatti, solo nella nostra scuola, gli studenti che hanno frequentato lo sportello d’ascolto sono stati 113, con 162 colloqui realizzati. Abbiamo intervista il dottor William Zavoli, uno degli psicologi che gestisce lo sportello d’ascolto alla scuola media Arfelli di Cesenatico.

Che cos’è esattamente uno sportello di ascolto? «E’ uno spazio che la scuola mette a disposizione di tutti i ragazzi, gratuitamente, per avere un colloquio con uno psicologo.

Lo psicologo a scuola fa colloqui di consulenza, e di sostegno, cioè ’sta vicino’ a un ragazzo che in quel momento sta affrontando una situazione particolare che lo mette in difficoltà, si confronta e insieme a lui pensa a strategie per affrontarla».

Quali sono i maggiori problemi che esprimono i ragazzi che vengono allo sportello? «I ragazzi della vostra età sono molto coinvolti nelle relazioni interpersonali, quindi spesso parlano delle difficoltà con gli amici o del fatto che si sentono soli.

Poi ci sono le fatiche legate alla scuola: la scuola mette ansia per le richieste che fa (verifiche, interrogazioni), ma anche per le relazioni con i compagni, gli insegnanti e i genitori. I ragazzi di terza parlano anche molto del futuro».

Come si svolge un colloquio allo sportello? «Nel colloquio c’è una prima fase di familiarizzazione, in cui si conosce un po’ il ragazzo. Poi, di solito a partire dalla domanda come ’Cosa ti ha portato qui?’ si affronta l’aspetto che lo preoccupa, quali soluzioni sono state già provate. Mi metto in una posizione di ascolto e comprensione e insieme valutiamo delle strategie per affrontarlo. Alla fine, c’è una fase di chiusura in cui si tirano le fila e ci si può dare un altro appuntamento, per aggiornarsi, verificare le strategie individuate, capire come sta andando».

Ci sono mai stati ragazzi che sono venuti allo sportello per tutti e tre gli anni di medie? «E’ capitato che gli alunni che hanno sperimentato positivamente questo spazio, l’anno successivo siano tornati perché hanno capito che è un’opportunità».

Gli studenti di III A della scuola media Dante Arfelli

 

Lo sportello d’ascolto è un servizio offerto dal Centro Famiglie dell’ASP-Rubicone che ha l’obiettivo di aiutare i ragazzi nell’età difficile dell’adolescenza.

Come? Il servizio offre la possibilità di avere un colloquio individuale con gli psicologi William Zavoli e Fabiana Mordini. Per potervi accedere, serve naturalmente l’autorizzazione dei genitori, poi in una cassetta delle lettere apposita, presente in tutte le sedi delle scuole, i ragazzi interessati inseriscono la richiesta di colloquio attraverso un bigliettino in cui indicano il proprio nome e classe. A questo punto, il gioco è fatto! Basterà aspettare che lo psicologo sia disponibile e che un collaboratore scolastico venga in classe a chiamare l’alunno in maniera del tutto riservata.

 

I ragazzi hanno diversi adulti di riferimento (genitori, insegnanti, allenatori), ma con una persona neutrale rispetto alle loro questioni, si sentono più liberi, meno giudicati, lo abbiamo chiesto allo psicologo.

Dottor William Zavoli è vero che i ragazzi si vergognano di presentarsi ad un incontro con lei? «La vergogna è un’emozione che ha a che fare con lo sguardo degli altri, quindi succede che i ragazzi provino vergogna non tanto nel momento del colloquio, ma nel momento in cui sentono il giudizio dei compagni per averlo richiesto. La ver-gogna comunque poi passa, appena ci si rende conto in prima persona che lo sportello è un posto dove trovano ascolto e comprensione e in cui non si sentono giudicati. Sanno anche che possono contare sul principio di riservatezza del professionista».

Quando sente i problemi di certi ragazzi, che magari sono anche molto gravi, si dispiace? «Sì, certo. Mi preoccupo e mi dispiace, soprattutto perchè a scuola non ho a disposizione tutto il tempo che occorrerebbe per un intervento più incisivo.

In questi casi, attivo, in accordo con il ragazzo, una rete di servizi (il Centro per le Famiglie stesso di cui faccio parte o altri servizi sul territorio) e di persone (genitori , insegnanti) che possano sostenerlo adeguatamente».

Come riesce ad aiutare i ragazzi? «La chiave dell’aiuto che posso dare è l’ascolto, oltre che la competenza professionale. Tante volte gli adulti danno ai ragazzi la loro ricetta per risolvere un problema. Dicono semplicemente: ’Si fa così’, oppure al contrario minimizzano. Queste soluzioni, pur dettate dall’esperienza o dalla preoccupazione autentica per l’altro, non convincono. Io cerco di capire cos’è meglio per ognuno; non ho ricette preconfezionate. Devo soprattutto ascoltare, perché ogni esperienza è originale, e ogni incontro e intervento deve essere pensato per quel particolare ragazzo e la sua situazione».

E lei, si è mai trovato nelle stesse situazioni di cui le parlano i nostri compagni? «Sì certo. Tutti si sono sentiti a disagio nei rapporti con i compagni, tutti si sono sentiti inadeguati in un certo contesto, tutti hanno avuto difficoltà a scuola.

Forse ho scelto questo mestiere anche per aver vissuto tali esperienze. Ho capito che mi faceva piacere approfondire questi aspetti e soprattutto ho scoperto che per dare un senso alla mia vita era molto importante aiutare gli altri. Quindi ho fatto in modo che questo diventasse anche il mio lavoro». Che ruolo hanno i social a quest’età? «I social hanno un ruolo importantissimo. Una volta, si viveva l’adolescenza per strada. Quando la famiglia diventava ’stretta’ c’erano gli amici del quartiere o di altri gruppi più o meno spontanei. Questi ambienti di socializzazione sono venuti progressivamente meno a scapito di gruppi sempre più formali (con la presenza di adulti) e dei social che non sono solo ambiti di svago, ma anche una palestra di socialità e di formazione di identità. Nei social vi fate gli affari vostri senza che gli adulti vi possano vedere, sperimentate la vostra immagine, vi rapportate agli altri. I social sono uno dei luoghi in cui vivete la vostra adolescenza, non vanno solo normati o limitati, ma vanno conosciuti e valorizzati».

Gli studenti di III A della scuola media Dante Arfelli 

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