ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Kinder College di Bologna (BO) - Redazione

Come sarebbe un mondo senza confini?

L’esperienza dei ragazzi in un istituto con alunni che provengono da vari Paesi: «L’importante è mettersi sempre nei panni degli altri»

Come sarebbe un mondo senza confini? È possibile vivere il nostro pianeta come se fosse una unica, grande nazione dove nessuno è straniero e ognuno si sente a casa? Le lingue sono una barriera oppure sono una opportunità per aprirsi agli altri? Le distanze geografiche ci allontanano gli uni dagli altri oppure i viaggi ci permettono di scoprire che gli oceani, le montagne, in realtà ci uniscono? Su questo ci siamo interrogati noi, ragazze e ragazzi delle scuole medie Kinder College di Bologna. Secondo noi aprirsi agli altri vuol dire amare le persone come sono.

Qui a scuola siamo tutti diversi, ma in qualche modo uguali.

Non sarà di sicuro il colore della pelle o la forma degli occhi a separarci. Qui valiamo tutti allo stesso modo. C’è chi è più bravo in matematica e chi di più a giocare a pallone, ma non importa, importa come stiamo insieme. Tra ragazzi non si percepiscono le differenze che notano gli adulti. Prendendo parte a viaggi studio si impara subito una cosa: non esiste una cultura, un popolo, una lingua più importante di un’altra. Abituarsi a convivere con tutti è essenziale, perché ognuno ha i propri difetti e accettare quelli degli altri ci aiuta ad accettare i nostri e a non essere permalosi. La nostra forza si chiama amicizia. Per noi avere una vita sociale, trovare un nuovo amico è la cosa più importante.

A volte si riesce immediatamente a parlare con un nuovo compagno, a volte invece è giusto aspettare. Alcuni, appena trovano un nuovo amico, gli stanno sempre attaccati, altri invece restano come in attesa, ma questo non significa che non vogliano socializzare. Tra noi ci sono ragazzi che vengono da tutto il mondo: Haiti, Stati Uniti, Congo, Liberia.

Tutti si ricordano bene gli interrogativi che avevano appena arrivati. «Come mi tratteranno?» «Mi accoglieranno bene?». Essere «bulli» con i ragazzi «nuovi» è un’ipotesi che non prendiamo nemmeno in considerazione.

Aprirsi agli altri è cultura, viaggiare ci permette di conoscere meglio noi stessi. Ascoltare la storia di ogni persona che ha esperienze di vita in tutto differenti dalle nostre è un’esperienza toccante.

Serve per mettersi nei panni dell’altro. «Quando in televisione ho visto inchieste sulla pesca del pesce persico nel Lago Vittoria, in Africa e sulle piantagioni di banane, in Sud America, mi sono reso conto che conoscere la Storia e le culture dei popoli lontani aiuta a capire vicende incredibili come la riduzione in schiavitù o lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali».

 

Due anni fa sono arrivati da noi nuovi compagni provenienti dall’Ucraina, a causa della guerra. Per loro, all’inizio, non è stato facile. Alcuni hanno dovuto cambiare molte case. La nostra scuola invece è stata da subito un punto di riferimento. Li abbiamo accolti a braccia aperte. Un modo, inusuale ma efficace, per farlo è stata una partita di scacchi. Una nostra compagna Ucraina ricorda: «Mi è venuta voglia di essere una di voi, volevo essere anche io brava in qualcosa. Imparare l’italiano mi ha dato il coraggio di imparare anche altre lingue». Tra noi c’è anche una ragazza per metà russa: il russo è la sua lingua madre. Un giorno di lezione, per noi, è come un giro del mondo. I nostri professori, infatti, provengono da molti Paesi differenti. Instaurare con ognuno di loro un rapporto autentico ci serve per conoscere diversi modi di insegnare e di apprendere. «A cosa servirebbe la scuola se non ci preparasse ad affrontare un futuro pieno di esami?», dichiara una nostra compagna. Nella vita, come è noto infatti, gli esami non finiscono mai.

 

Un nostro compagno viene da un vero e proprio college inglese, dove dormiva tutte le notti.

«Anche nei giorni di riposo, per sbaglio, mi vestivo con l’uniforme della scuola, talmente ero abituato a farlo». Un altro nostro compagno, invece, durante l’estate ha frequentato una vera scuola militare in Cina.

«Sveglia alle sei, pronti per le sette, poi si perdeva la cognizione del tempo, si viveva senza cellulari e PlayStation. Nel pomeriggio si tenevano le lezioni di autodifesa». Ogni anno la nostra scuola è coinvolta in uno scambio culturale con la Cina.

Accogliamo coetanei cinesi nelle nostre case per alcuni giorni.

Poi toccherà a noi andare da loro! Assieme ai nostri ospiti abbiamo visitato Bologna, fieri di poter fare da guide. «All’inizio erano spaesati, poi si sono sciolti: abbiamo passato momenti intensi insieme girando per Bologna». Indimenticabile la partita di calcio giocata contro di loro.

«In difesa c’erano due ragazzi più alti e grossi di me, ma sono riuscito a superarli e poi ho fatto un bel goal». È stato interessante scoprire che i nostri nuovi amici cinesi sanno anche essere «casinisti» e che giocano a «poker cinese». «Mi dispiace non aver fatto in tempo a chieder loro in quale Dio credessero. Ero molto curioso, perché per noi è normale credere al nostro, ma chissà per loro…». «Anche se sono stati con noi per poco, mi è sembrato di conoscerli da una vita».

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