ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Salesiani di Bologna (BO) - 3C - 3E

Quali verità nasconde il nostro armadio

Il veloce cambiamento delle materie prime nella moda e l’impatto che hanno sul nostro ecosistema lavorazione e tintura dei tessuti

Negli ultimi decenni i Social Network hanno modificato radicalmente il modo in cui viviamo e comunichiamo. Grazie al Report digitale 2022 sappiamo che gli utenti dei social media sono 4.70 miliardi. La pandemia che ci ha coinvolto ha aumentato in maniera esponenziale questa tendenza. Gli utenti di Instagram, TikTok, Youtube, Facebook ecc. si saranno sicuramente imbattuti in un video unboxing ovvero «video vetrine» per creare nelle persone il bisogno di acquistare.

Molte celebrità che fanno questi video vengono spesso pagate per aumentare la visibilità di un marchio, specialmente se si parla di capi di abbigliamento.

Ma la verità dietro tutto questo guadagno è sconcertante. Spesso le aziende che producono questi prodotti nascondono lavoratori sfruttati per produrre vestiti di bassa qualità e nel minor tempo possibile. Ma non è finita qui.

La moda cambia rapidamente: tutto quello che è prodotto oggi con l’utilizzo di materie prime, potrebbe essere buttato domani. Basta guardare dentro ai nostri armadi per notare l’affolla-mento dei vestiti che non usiamo più. Questo ciclo aumenta la cultura del Fast Fashion, (che significa letteralmente «moda veloce»), e questi cambiamenti, inoltre, hanno un impatto enorme nel nostro ecosistema. Infatti si stima che il 20% dell’inquinamento idrico industriale sia causato dalla lavorazione e la tintura dei tessuti.

Ogni anno nei nostri oceani finiscono 190 mila tonnellate di microplastiche attribuibili ai lavaggi dei capi in fibre sintetiche e 98 milioni di tonnellate sono le risorse non rinnovabili utilizzate.

L’inquinamento di plastica e la dispersione di sostanze chimiche potrebbero compromettere seriamente la qualità del nostro ambiente futuro.

3E: Auletta C., Buttazzi L., Cornacchini G., Di Modica G., Falsetti M., Fang C., Fraternali G., Gamberini A., Gigi L., Giuliano A., Guizzardi J., Hu J., Iaromi A., Innocenti M., Michelini F., Moscato V., Pasini I., Pensabene R., Petracca A., Picchio A., Principato G., Ren S., Romeo R., Schincaglia M., Sgroppo A., Volpe L.; 3C: Campagnoli E., Chen J., Collina R., Cristofaro S., Di Nunno S., Falsini G., Geng R., Giuliano S., He T., Hu V., Jourdan M., Lin Xin Z., Lucà S., Marasci M., Marinaci C., Mazzetti M., Melis M., Mirti V., Neri A., Parisi A., Persiani L., Rando E., Rimondi A., Savoretti G., Terlizzese M.

 

Sentendo sempre più parlare della questione legata all’universo del Fast Fashion, ovvero della cosiddetta «moda veloce», noi studenti ci siamo dunque chiesti: chi parla o sente parlare di Fast Fashion, sa veramente di cosa si tratta? Sicuramente questa è una domanda alquanto complicata. A chi non capita di sentire parlare di qualcosa e non saperne il significato.

Noi ragazzi di 3C e 3E dell’Istituto Salesiano non avevamo idea di cosa fosse il Fast Fashion fino all’anno scorso. Infatti, nel corso della seconda media, ci è stato proposto un progetto in merito: i professori ci hanno spiega-to e proposto alcune attività per sensibilizzare noi e i nostri compagni studenti con l’obiettivo di farci comprendere i danni che stiamo provocando al pianeta attraverso questa pratica di produzione e vendita non troppo a favore dell’ambiente e dei suoi dipendenti. Quest’anno, in occasione della stesura di questo articolo, abbiamo proposto alle varie classi di seconda e terza un sondaggio per sentire i loro pareri in modo anonimo.

Tramite questo sondaggio abbiamo scoperto che il 75% degli studenti comprano abbigliamento online, alcuni raramente altri molto spesso. Abbiamo scoperto che molti di loro non sanno che ci sono delle aziende di Fast Fashion che sfruttano i loro dipendenti facendoli lavorare per quasi dodici ore al giorno con una paga di circa cinquanta centesimi a abito. Si è reso dunque evidente che la maggior parte degli studenti comprano online per la comodità e per il costo basso, conferma quest’ultimo del fatto che le grandi aziende non sono interessati alle qualità di vita dei loro dipendenti. Per questo abbiamo deciso di raccontare la verità. La giusta versione dei fatti, sperando che questo possa aiutare a sensibilizzare qualcuno.

 

Nell’ambito del Fast-Fashion, pochi ex-dipendenti di un noto marchio di moda hanno rilasciato interviste sui faticosi turni di lavoro che erano costretti a sostenere. Riguardo le recensioni, il 70% delle persone rilasciano opinioni negative sulla qualità dei vestiti e delle consegne forniti da aziende che promuovono questo genere di prodotti. Numerosi clienti hanno dichiarato che i vestiti arrivano rovinati e la consegna è spesso in ritardo e i corrieri sbagliano l’indirizzo. Nonostante tutto questo, ad alcuni piace il sito online perché la consegna è arrivata loro in orario e reputano i vestiti a un buon prezzo. Anche al fine di verificare questo, dal sondaggio svolto da noi in alcune classi della nostra scuola, è emerso che chi compra dice che c’è un buon rapporto qualità-prezzo, mentre chi non ha mai acquistato ha ribadito ciò che abbiamo già scritto. Come si contrasta la moda sbagliata che sfrutta i dipendenti? Francesca Boni, una ragazza che si batte per la moda sostenibile, in cinque punti ci dice come fare per contribuire a una moda migliore: accertare la qualità dei capi, comprare di meno, conoscere il costo per uso, acquistare anche vestiti usati e soprattutto spargere la voce, il punto più importante per contrastare il Fast-Fashion.

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