ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Scuola Secondaria di primo grado Dante Alighieri di Macerata (MC) - 3C - 3F

La catena dell’odio spezzata dalla speranza

I ragazzi hanno incontrato lo scrittore Sciapeconi e gli hanno posto domande sul suo romanzo “40 cappotti e un bottone“

Noi ragazzi delle classi terze abbiamo incontrato Ivan Sciapeconi, l’autore del libro «40 cappotti e un bottone». Nei mesi precedenti abbiamo letto questo romanzo, che ci ha permesso di immergerci all’interno di una commovente storia. Infatti, l’autore ha dato voce, tramite le parole del protagonista Natan, all’odissea di un gruppo di circa quaranta ragazzi ebrei, rifugiatisi a Nonantola, per l’esattezza a Villa Emma, per sfuggire alle persecuzioni naziste e per cominciare una nuova vita in Palestina. Appena siamo entrati nella palestra della scuola abbiamo notato subito quell’uomo, seduto dietro una cattedra, vestito con un paio di jeans, una camicia sobria, il microfono in mano e una bottiglia di tè vicino alla gamba. Ci aspettavamo il classico scrittore introverso e, a volte, anche noioso; invece, abbiamo avuto il piacere di incontrare una persona che sapeva relazionarsi benissimo con noi e immedesimarsi nelle nostre richieste e sensazioni. Forse proprio perché è un insegnante, originario di Macerata, poi trasferitosi a Modena.

Nella prima parte dell’incontro ci ha raccontato della sua vita e del suo lavoro, poi ha lasciato spazio alle nostre curiosità, permettendoci di dare sfogo ai nostri dubbi di giovani lettori.

All’inizio abbiamo chiesto da dove avesse tratto ispirazione per la stesura del romanzo e la sua risposta è stata emblematica: «Da un atroce evento avvenuto nella mia Macerata». Non a caso, è stato un episodio di razzismo a smuovere la sua coscienza di uomo e la sua sensibilità di scrittore: la sparatoria avvenuta il 3 febbraio del 2018 ad opera di Luca Traini. Da questa vicenda ha deciso di scrivere una storia che raccontasse l’odio dell’uomo contro l’uomo, scegliendo come tema la Shoah e, nello specifico, il caso di ragazzi ebrei che hanno trovato rifugio nella comunità di Nonantola, accolti dai cittadini come figli, fratelli e nipoti in fuga.

Nel romanzo il narratore-protagonista è Natan, un personaggio inventato da Sciapeconi a partire dai diari di Sonja (presente nel libro), che l’autore ha confessato di aver letto accuratamente e a cui ha deciso di dar voce tramite un personaggio di fantasia.

Fra le varie curiosità che ci ha rivelato la più interessante riguarda le fasi redazionali del titolo.

Infatti, quest’ultimo ha subito diverse evoluzioni, da «Io corro» a «Il tuo nome non verrà mai dimenticato», fino ad arrivare alla versione definitiva «40 cappotti e un bottone», per ricordare la solidarietà delle sarte di Nonantola che hanno permesso la fuga e il salvataggio dei giovani.

Un’altra domanda interessante è stata quale fosse il personaggio in cui si è identificato maggiormente e la sua risposta non è stata banale; ci ha riferito di sentirsi molto vicino allo zio Hermann, il personaggio che nutre le speranze di Natan, tramite le lettere che fingeva di scrivere per mano della madre, in realtà morta. Non a caso lui stesso ha confessato che il momento più toccante della stesura del romanzo è stato quello in cui si è trovato a scrivere tale lettera che, diversamente dal solito, ha composto di getto e con le lacrime agli occhi.

A molti di noi non è mai capitato di incontrare uno scrittore faccia a faccia, ma possiamo dire con entusiasmo di aver apprezzato quest’opportunità che ci è stata concessa, perché abbiamo toccato con mano il complesso lavoro dello scrittore.

Inoltre, Ivan ci ha permesso di dare un volto e una voce all’amato libro che ci ha accompagnati in questi mesi e che ci ha permesso di capire che la memoria del passato deve continuare con noi.

III C

 

Abbiamo studiato Giacomo Leopardi a scuola. Ci era sembrato un poeta come tutti gli altri, ma la visita a casa Leopardi ci ha fatto comprendere che dietro l’apparenza si nasconde molto di più. Abbiamo avuto la fortuna di visitare Recanati e la casa in cui ha vissuto il poeta di fama internazionale dell’Ottocento, acclamato ancora oggi. La guida ci ha informato che all’interno del palazzo, di 5mila metri quadrati, vivono ancora otto eredi della famiglia Leopardi.

Abbiamo visto le biblioteche con i libri che il padre Monaldo collezionò nel tempo. In questa raccolta troviamo alcuni dei testi più rari al mondo. C’è, ad esempio, un volume di otto bibbie tradotte in varie lingue, di cui esistono solo altre due copie al mondo, attraverso il quale Leopardi ha studiato ben otto lingue, tra cui latino, greco, ebraico, francese, inglese, spagnolo e tedesco. Data la sua cultura, era addirittura disposto a dare lezioni di lingue classiche ai suoi professori, i quali, per non mettersi in ridicolo, le rifiutavano. È proprio in queste biblioteche, affacciate verso la piazza, che Giacomo scrisse la poesia «Il sabato del villaggio». È da quelle finestre che Leopardi vide per la prima volta Silvia, in realtà Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa Leopardi, della quale si innamorerà. Nello studio abbiamo visto dei disegni realizzati da Giacomo e dai suoi fratelli, e dei test, ideati da Monaldo per far esercitare i sette figli. In una grande sala era presente un palchetto dove, durante le feste, i più giovani si esibivano davanti agli invitati per allenarsi nell’esposizione orale.

Nella stanza da letto del poeta, ci ha emozionato vedere un quaderno e una penna d’oca sopra un banco, davanti alla finestra: da qui, vedendo la famosa siepe, Leopardi fu ispirato a scrivere la celebre lirica «L’infinito».

Infine abbiamo visitato il museo con oggetti di vita quotidiana. Attraverso le parole della guida, che con enfasi e conoscenza ci ha guidato in questo percorso, siamo potuti entrare nel mondo di Giacomo per respirare la sua presenza, le sue passioni, i suoi amori, i suoi pensieri, i suoi «infiniti» piaceri e dolori. Abbiamo compreso che ciò che rende Leopardi diverso dagli altri poeti è la sua immaginazione, che anima le sue opere e le rende vicine e nostre ancora oggi. Giacomo infatti c’era, era lì tra noi, «garzoncelli scherzosi», come a dire «godi fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta», ma a mostrare che la sua gloria è il frutto di grandissima conoscenza, acquisita con lo studio.

Alla fine di questa mattinata molto interessante abbiamo salutato il nostro, ormai amico, Giacomo, facendo un indimenticabile selfie con lui.

III F

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