ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Scuola Secondaria di I grado Pietro Zangheri di Forlì  (FC) - 3B

Alla scoperta della storia di Oreste Casaglia

I ragazzi hanno approfondito, attraverso il suo diario, la vita dell’avvocato forlivese che aiutava i partigiani durante la Grande Guerra

Tante volte passando per viale Salinatore con sguardo distratto ho osservato l’enorme edificio, dalle architetture attempate e, altrettante volte, andando ai musei San Domenico ho scorto il nome della via Oreste Casaglia, mentre la mia mente ne registrava passivamente la toponomastica. Ora so che quell’edificio, apparentemente ‘innocuo’ e quel nome neutro, raccontano qualcosa di tremendo che è accaduto nella nostra comunità. È difficile dimenticarsi della vicenda di Casaglia e di quel pomeriggio di ferragosto, quando, prelevato dalla sua casa di Villagrappa da un gruppo di fascisti e tedeschi, viene portato nel carcere allestito dalle SS nei sotterranei del brefotrofio di viale Salinatore, rinchiuso nella cella n° 1.

Nato a Forlì nel 1896, avvocato, possedeva una solida cultura democratica, basata sui valori risorgimentali. Partecipò alla Grande Guerra insieme ad altri forlivesi di cui era amico, come Tonino Spazzoli. Proprio per la sua formazione democratica aderì fattivamente alla rete dell’antifascismo, difendendo i partigiani davanti al Tribunale Speciale e aiutando uomini come Spazzoli, Corbari e Angeletti. Per il suo attivismo fu sottoposto a stretta sorveglianza e poi arrestato. Sopravvisse a quei 17 giorni di internamento. Ne uscì vivo grazie alla collaborazione di un secondino, che recapitò al-la famiglia un biglietto scritto con una scheggia di legno intinta nel suo stesso sangue . Quel foglio innescò l’intervento in suo favore di persone autorevoli, compreso il vescovo. Della terribile esperienza vissuta nel carcere nazista, l’avvocato ha lasciato una eccezionale memoria: il suo diario.

Cella n°1 ‘Il bel palazzotto in viale Livio Salinatore dell’Istituto provinciale per l’infanzia era stato prescelto come carcere per la solitudine dei luoghi che garantiva la clausura più assoluta dei prigionieri e la possibilità di torturarli senza che alcuno udisse le grida. Al primo piano vi era il comando delle SS e le celle erano larghe poco più di 3 metri e poiché vi venivano ammucchiati fino a 12 prigionieri, l’aria si consumava tanto che alcuni venivano presi da soffocazione. Le finestre di esse, infatti poste in alto, al livello del piano del giardino, erano state murate per tre quarti.

Quando entrai erano seduti a terra altri 4 prigionieri, erano un prete, spogliato della veste talare, un comunista forlivese, un partigiano veneto e un carabiniere calabrese. Ci presentammo stringendoci la mano con effusione’. ‘Come si sta qui?’ domandai. Il comunista senza parlare sollevò un lembo della camicia scoprendo il dorso. Era solcato da vaste e profonde ecchimosi che lo segnavano per tuttala sua larghezza: segni evidenti di una flagellazione recente.

‘Quando? – chiesi – Quasi tutti i giorni’ – rispose il disgraziato mentre il volto pallido ed emaciato si contraeva in una smorfia di dolore. La cella era priva di tutto, non mancavano in compenso le cimici e i pidocchi. Mi raccontò che lo avevano arrestato i tedeschi e lo avevano affidato alla brigata nera: gli erano stati bruciati i piedi; dopo qualche giorno lo avevano affidato ai tedeschi i quali lo flagellavano quasi quotidianamente. Il prete era il più loquace dei quattro. Mi chiese se avevo mangiato e alla mia risposta negativa mi informò che fino al giorno seguente sarei rimasto digiuno. Il carabiniere era sereno; sapeva che lo avrebbero deportato in Germania. La deportazione sembrava in quel luogo e in quel tempo una grande fortuna. Il partigiano non parlava.’ Feroce strategia dei tedeschi ‘Compresi che i tedeschi seguivano un sistema accoratamente calcolato, scientificamente crudele: stancare con la clausura assoluta, abbattere il corpo col digiuno con le privazioni e l’immobilità; avvilire lo spirito con l’ansia costante della tortura, della fucilazione o della deportazione; esasperare la volontà di vivere con il più acuto insoddisfatto desiderio del sole, dell’aria della libertà, della casa’. Brevi stralci per rinfrescare una memoria pronta a perdere avvenimenti di vitale importanza. Casaglia si presenta come il baluardo contro questa fragilità. D’ora in poi, passando davanti all’Ex Brefotrofio di Viale Salinatore lo guarderò con uno sguardo più consapevole.

Classe 3ªB

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