«Ecco la nostra giornata della Memoria»
Indagine degli studenti sui campi di concentramento del Maceratese: intervistata la docente universitaria Annalisa Cegna
«Ma qui da noi c’erano campi di concentramento?». «Certo, ecco un documento che lo prova.
Non era come Auschwitz ma era un campo di concentramento e non era il solo». La professoressa sfila dalla busta un piccolo foglio quasi trasparente: è un reperto storico originale dell’ottobre 1944. Una famiglia maceratese cerca il figlio, «costretto a presentarsi al Campo di concentramento di Sforzacosta» e poi sparito. Dalla curiosità di noi studenti di capire quale fosse la situazione di Macerata e dintorni nel 1944 è nata l’esigenza di approfondire con una delle maggiori esperte in questo settore di ricerca, la professoressa Annalisa Cegna, docente Unimc di Storia contemporanea e direttrice dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Macerata, che è stata invitata al Convitto per una lezione-intervista sul Campo di Sforzacosta e che poi abbiamo seguito all’Archivio storico per effettuare, sotto la sua guida, un’indagine sul Fondo Cruciani, uno dei più importanti sui campi di concentramento del Maceratese. Che erano numerosi: oltre a Sforzacosta, pure a Urbisaglia, Pollenza, Treia, Petriolo. Una finestra sulla memoria si è aperta davanti ai nostri occhi: mentre il mondo tiene bene a mente luoghi come Auschwitz, l’attenzione verso questi campi meno noti, che pure sono stati teatro di sofferenza e oppressione per molti individui, tende a scemare nel tempo; si tratta di un tassello di storia locale molto significativo su cui è importante gettare luce. L’Archivio storico in tal senso si è rivelato una meravigliosa macchina del tempo che insegna a fare domande e a trovare risposte. Attraverso i documenti e con l’aiuto della professoressa Cegna abbiamo analizzato le nazionalità degli internati dei vari campi locali, le loro religioni, i tempi di permanenza, le tipologie di rancio, i libri che era consentito leggere, i medicinali necessari. Abbiamo fatto chiarezza sul Campo di Sforzacosta, la sua storia, la struttura, le sue relazioni con gli altri campi e il territorio: rimasto attivo dal 1940 al 1943, non era stato posizionato a caso, perché la vicinanza ad una stazione, accanto al fatto che la zona era allora poco abitata, lo rendeva una sede ideale. Inizialmente campo militare per prigionieri alleati, dal1943 venne usato dai tedeschi per internare partigiani o persone ritenute sospette, che poi da lì venivano mandate a lavorare nelle fabbriche del Reich. Per gli ebrei il destino era diverso.
Nell’ottobre 1944 il campo era stato evacuato dai nazisti e il Maceratese liberato, così le famiglie si attivavano per cercare i parenti, che probabilmente erano stati inviati da Sforzacosta in Germania per i lavori forzati.
Jade Carrillo, Davide Di Mauro, Antonio Falcioni, Amin Gharsellaoui, Marvin Idiaghe, Sasha Karpenko, Rahim Krasniqi, Maria Adriana Marin, Laura Montaguti, Federico Nocelli, Adrien Pantaleoni, Teresa Pisanelli, Valeria Sagov, Lorenzo Trentin, Diego Recchi, 3ªB
Mi chiamo Zuzanna Kalinska, ho 14 anni, sono in Italia da alcuni anni ma sono nata in Polonia da genitori polacchi, la mia famiglia è polacca da generazioni.
Partendo dal laboratorio di Storia fatto con la classe 3ªB, ho iniziato a fare domande a casa e ho scoperto che la nonna di mia nonna, Józefa Jezierska, ha una storia da raccontare, una storia che incrocia la Storia. È sopravvissuta a quel terribile periodo e lo ricordava con grande dolore e dignità: era stata deportata per lavori forzati, come tanti altri ragazzi e ragazze polacche in Germania, in una fabbrica di armamenti a Francoforte sul Meno: aveva solo 15 anni, un anno più di me. Era il 1942, lei era nata il primo luglio del 1927. Ha lavorato per i tedeschi fino alla fine della guerra; raccontava che tutti dovevano indossare un’uniforme da lavoro dal colore indefinito, a quadretti, e che aveva visto diverse volte, durante il lavoro, persone che sbagliavano qualche passaggio e venivano uccise a colpi di pistola, davanti ai suoi occhi. Cerco di immaginare quanto possa essere stato duro per lei quel periodo.
Quando furono liberati ritornò in Polonia a piedi. Ho saputo tutto questo da mia madre e mia nonna; ora che ho raccolto il loro testimone mi sento anche io portavoce, non più solo lettrice e spettatrice della Storia, ma parte attiva di essa. E penso che alla mia bisavola farebbe piacere sapere che la sto ricordando, anche se non c’è più, e che siano dei giovani a portare testimonianza ad altri adulti, oltre che ai pari, di ciò che è successo.
Zuzanna Kalinska, 3ª A
«Cara Bronka», è l’inizio della lettera originale di un deportato polacco ad Auschwitz, che noi giovani detectives del Convitto abbiamo tenuto tra le mani e indagare, assaporando il lavoro dello storico. Il reperto inedito, trovato dalla nostra insegnante di Lettere ottant’anni dopo essere stato scritto, è stato messo a disposizione di noi alunni della 3ªB che, assieme alla nostra compagna di origine polacca di3ªA, in tre settimane, nelle ore di Storia, divisi in piccoli gruppi ognuno con compiti differenti, lo abbiamo decifrato e tradotto, ricavando informazioni su mittente e destinatario, timbri e francobolli, collegamenti con il periodo del nazismo e con la letteratura. Dall’indagine è emerso un lavoro articolato, che sta attirando l’attenzione del Prefetto e di altre istituzioni cittadine. La lettera è scritta a matita e si piega diventando a sua volta una busta. Il detenuto I. B., sessantenne polacco del Blocco 7, matricola 164322, scrive il 9 aprile 1944 ad una persona a lui molto cara, forse la sorella o la figlia, per rassicurare della sua salute, ringraziare di alcuni oggetti ricevuti, inviare richieste materiali ma soprattutto un messaggio di speranza per il futuro.
Grande la nostra sorpresa nell’apprendere che ad alcuni internati di quel campo era concesso scrivere all’esterno e ricevere pure pacchetti e lettere, forse per scopi di propaganda; da numerosi indizi è emerso il fatto che il detenuto era uno Schutzhäftling, cioè una persona arrestata per «custodia preventiva», quindi un prigioniero politico. Auschwitz può sembrare lontano nel tempo e nello spazio, ma le sue lezioni sono più attuali che mai: la scoperta della lettera ci ha dato la possibilità di ragionare in modo nuovo sul valore della scrittura come strumento di memoria e micro resistenza, e sulla Storia, ricostruendone una pagina «dal basso» e creando un’eco di connessioni con noi, le nostre famiglie e il nostro territorio. Con questo laboratorio non siamo riusciti a rispondere a tutte le domande poste dal documento ma ci siamo impegnati a mantenere vivo il ricordo di quanto accaduto, per costruire un futuro migliore.
Laura Montaguti, Federico Nocelli, Alyssia Paccaloni, Adrien Pantaleoni, Teresa Pisanelli, Enrico Porfiri, Diego Recchi, Adam Touati, Lorenzo Trentin, 3ª B