ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Da persone a numeri, l’esperimento in classe

L’inusuale lezione di storia della 3ª A della scuola media ‘Sacro Cuore’ di Lugo in occasione della Giornata della Memoria

«Mettete via tutto ciò che c’è sul banco. Tenete solo un foglio bianco ed una penna». Come tutti sappiamo, questa frase preannuncia solo una cosa: “Verifica a sorpresa”! Tempestiamo subito la prof con mille domande.

Ma oggi per fortuna ci sbagliamo. Nessuna verifica o esercitazione a sorpresa. Oggi si parte per un viaggio nel passato, un passato recente, ma lontano, perché per chi già conosce questa storia, solo da lontano si può osservarla e rimanere con gli occhi asciutti.

Erinnerung. Questa parola tedesca scritta alla lavagna, vuole dire “ricordo”, parola italiana che etimologicamente è composta dal latino re+cor, cordis. Re= indietro, mentre Cor, cordis, cuore. Portare indietro, riportare al cuore. Osserviamo attenti l’insegnante, sappiamo che le piace l’etimologia delle parole, ma oggi è ancora più importante, ci chiede di tenere a mente questa etimologia fino alla fine della lezione. Qualcuno di noi ha già capito di cosa parleremo, ma nessuno ancora si spiega a cosa servirà quel foglio bianco. Ci chiede allora di scrivere tre qualità e/o caratteristiche che riconosciamo come nostre e subito sotto tre passioni o cose che amiamo fare nelle nostre giornate; poi scrivere il nostro nome e cognome. Facile come esercizio, no? Nel giro di qualche minuto finiamo tutti. La prof inizia a passare tra i banchi, va in ordine alfabetico: A. Legge nome e cognome ad alta voce, la guarda negli occhi per un attimo e senza leggere ciò che ha scritto sul foglio, fa un grande segno nero su tutto e al posto del suo nome scrive il numero 2341, accartoccia il foglio, lo prende insieme alla penna e la lascia senza niente sul banco. A. la guarda, tra stupore e curiosità, ma anche con un lampo di tristezza. Stessa procedura per tutti noi: si avvicina, cancella, un numero al posto del nome e porta via tutto. C’è uno strano silenzio. Qualcuno, all’inizio, sghignazza, qualcun altro chiede co-sa stia facendo e perché. La prof, muta, continua.

Alla fine l’insegnante ci chiede se abbiamo capito cosa è successo. Qualcuno scuote la testa, qualcuno accenna una risposta. Lei: «Vi ho ridotti a numeri. Non siete più persone, uniche al mondo e con le loro passioni, sogni, ma numeri, cose senza significato o spessore. Così è stato fatto per davvero poco più di 77 anni fa con milioni di persone». Ora abbiamo capito. «Prof, è per la Giornata della Memoria, vero? per ricordare la Shoah!». «Ma cosa vuol dire la parola Shoah?». «Genocidio».

«Dall’ebraico, vuol dire ‘catastrofe’. La catastrofe in questione è corrisposta a un genocidio, la distruzione sistematica di un gruppo etnico». Niente date e numeri oggi per storia, invece gesti e parole reali. Abbiamo spento la luce e abbiamo visto immagini di archivio, ciò che razionalmente facciamo fatica ad accettare: la trasformazione dell’uomo in mostro. Scene forti, qualcuno si è coperto gli occhi ma dobbiamo sapere ciò che l’essere umano è arrivato a compiere. Al termine del video, un silenzio quasi surreale, poi iniziano le domande. La prof cerca di rispondere poi riprende il sacchetto pieno di fogli e biro e riconsegna a ciascuno ciò che ci rappresenta, da numeri torniamo a essere ragazzi e ragazze di 13 anni. Ci chiede di ricordare, di riportare al cuore, scrivendo su quello stesso foglio, cosa ci ha colpiti di quest’ora. Suona la campanella, ci saluta con le parole di Primo Levi: «È avvenuto, quindi può accadere di nuovo.

Questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire». Corriamo veloci fuori dall’aula, forse qualcuno con il cuore un po’ più pesante di quando siamo entrati. Certi però che noi non siamo numeri, ma cuori pulsanti da cui dipenderà il futuro.

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