ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

Baby gang violente? Ripartiamo dalla scuola

La media Caterina Sforza di Forlì analizza i comportamenti aggressivi dei coetanei attraverso percorsi didattici

Ragazzi violenti: può esserci una soluzione a questo fenomeno? La nostra analisi parte proprio dai fatti di cronaca, quelli che leggiamo ormai da tempo sui giornali e che rimbalzano in tv, sul web e sui social. Notizie che parlano di Baby gang dal coltello facile, di bullismo e cyberbullismo, di video dipendenza e assenza di valori nei giovanissimi.

Questo, e tanto altro, compone il repertorio di espressioni usate per definire una parte dell’universo giovanile. Negli ultimi mesi le cronache ci rimandano un quadro allarmante di una violenza furiosa e molto spesso immotivata.

Ragazzi sempre più giovani spesso sono addirittura bambini – che sono alla continua ricerca di emozioni forti che solo l’aggressività sembra garantire.

I comportamenti violenti non so-no solo atti estremi, spesso sono gesti dettati dall’indifferenza e dalla beffa con cui si prende in giro lo ‘sfigato’ o si ignora l’anziano che dovrebbe sedersi in metro al posto loro. Prevalgono gli egoismi sull’empatia e sulla solidarietà ed i modelli di vita sono rappresentati dall’affermazione del sé, dalla spregiudicatezza e dall’avventurismo sfrenato. Se vengono interrogati sui loro comportamenti, non mostrano vergogna o pentimento ma una sorta di ingenuità, come se non si rendessero conto della gravità dei loro atti e delle loro trasgressioni. L’impegno, gli ideali, le passioni riguardano solo pochi ragazzi che spesso vengono considerati ‘diversi’.

Gli psicologi e sociologici che hanno analizzato il fenomeno parlano di condizionamenti dovuti all’incapacità degli adulti e della società di offrire speranze e prospettive a lungo termine, di rappresentare modelli di vita credibili.

I genitori appaiano sempre più spesso incapaci di dire «no» e sono ossessionati di offrire loro beni materiali che non li facciano sentire inadeguati al contesto in cui vivono.

Anche la scuola che si presenta come un’agenzia educativa importante, presenta carenze e vive una crisi di ruolo. Soprattutto la scuola secondaria distingue l’istruzione dall’educare. Si concentra soprattutto sull’apprendimento delle discipline, senza pensare ad una formazione completa in cui come si diceva in passato, il sapere, il saper fare ed il saper essere sono componenti inscindibili della ’testa ben fatta’ evocata dal sociologo Edgar Morin.

Appare necessario, secondo noi, porre una maggiore attenzione alla relazione educativa, sia dentro che fuori da scuola.

Non dimentichiamo che la costruzione del sé si realizza andando incontro all’altro, e attraverso questo percorso si impara a riconoscere uguaglianze e differenze ed a riconoscere e rispettare le identità altrui. Nella relazione educativa, famiglia e scuola, le figure adulte dovrebbero interagire in modo positivo. Nel riconoscersi e nel riconoscere l’altro che acquista concretezza.

Importante è anche il rapporto con il gruppo dei pari, di cui l’adulto si pone come mediatore o facilitatore.

La relazione educativa, a questo punto, si compie come un rapporto di aiuto, cioè come un rapporto in cui una persona si muove per facilitare la crescita dell’altro. A scuola sarebbe fondamentale progettare specifici percorsi didattici ispirati a questi principi, ma questo compito non può che essere affidato all’insegnante competente che deve possedere una sua personale sensibilità, una figura che conosca le emozioni dei ragazzi ma anche metodologie didattiche innovative.

Facciamo un esempio che ci riguarda in maniera diretta: nella nostra scuola abbiamo provato attraverso un percorso sperimentale (DADA) una didattica rispondente a questi bisogni educativi e posto l’attenzione sull’educazione affettiva, incentrata sull’ascolto, sull’empatia, sulla conoscenza di sé, ma soprattutto sul rafforzamento dell’autostima. Attraverso attività di tipo laboratoriali viviamo momenti di grande efficacia che hanno consentito un naturale percorso di riflessione del sé, di confronto di idee, utilizzando strumenti della metodologia didattica trasversale a tutte le discipline ed agli stadi di sviluppo di noi ragazzi.

In questo modo, il coinvolgimento e la partecipazione si stanno dimostrando efficaci ed hanno obbligato tutti a metterci in gioco, ad assumerci la responsabilità di esporci con le nostre emozioni e con le nostre idee. Forse implicitamente ci stiamo dando personalmente delle motivazioni alla nostra esistenza e consapevolmente ci siamo resi conto che la violenza non è la risposta alla nostra vita.

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