ll progetto de il Resto del Carlino per i lettori di domani

«La musica ha dato vita ai miei sogni»

Sergio Reggioli, polistrumentista dei Nomadi, ha parlato agli studenti: suonare uno strumento ripaga di tanti sacrifici

Abbiamo intervistato un talentuoso musicista della nostra città, Sergio Reggioli, polistrumentista e violinista che fa parte dei Nomadi dal 1998.

Reggioli, la musica è sempre stata il suo sogno fin da bambino? «Mi sono appassionato alla musica fin da piccolo grazie alla famiglia, in particolare devo ringraziare mio padre che ha investito molto sulla mia formazione musicale e anche su quella di mio fratello maggiore (Enrico, pianista e direttore d’orchestra, ndr).

Ho iniziato a suonare molto presto, alla vostra età già suonavo il violino da 4-5 anni».

Ha sempre sognato di diventare famoso? «Quando ero bambino era molto diverso da ora, non c’erano i social che ti permettono di entrare nelle case degli altri e di inviare in pochi secondi messaggi e immagini dall’altra parte del mondo. Il mio sogno era il palco di Sanremo, era un traguardo in cui sentivi che la notorietà sarebbe arrivata. Questo nei miei sogni c’era, perché la musica dà tanto ma richiede anche molto sacrificio. La musica è una compagna di vita da cui si fa fatica ad allontanarsi, ma il sacrificio che comporta imparare a suonare uno strumento è ripagato solo quando puoi condividere le emozioni con chi ti ascolta, quella è una forma di successo».

Come è entrato a far parte dei Nomadi? «Prima di entrare nella band collaboravo con Lorella Cerquetti e Marco Petrucci, che avevano composto canzoni per i Nomadi. Dopo circa cinque anni è capitato che la band cercasse due nuovi membri ed ha contattato i collaboratori per iniziare a vagliare alcuni musicisti. Petrucci diede il mio nome e io ancora oggi lo ringrazio. Feci un provino e mi dissero che mi avrebbero ricontattato, ero al settimo cielo. Dopo circa un mese invece mi dissero che, nonostante l’ottimo provino, avevano scelto un altro musicista. Era il 1998, persi tutte le speranze, iniziando a costruirmi un nuovo piano in cui la musica non c’era più.

Dopo qualche mese invece ricevetti la chiamata di Beppe Carletti (fondatore dei Nomadi) che mi chiese di unirmi a loro».

Ha fatto subito amicizia con i membri della band? «All’inizio ci ho messo un po’, ma dopo abbiamo condiviso momenti molto belli, specialmente durante i tour estivi anche al di fuori del palco e del concerto».

Come si è sentito la prima volta che è salito sul palco? «Le prime esperienze le ho fatte in Conservatorio con le esercitazioni orchestrali, ero molto emozionato ma l’emozione più forte l’ho provata quando ho esordito di fronte a quasi 3.000 persone al Palasport di Vicenza. Non lo dimenticherò mai. Sono comunque riuscito a godermi quell’emozione perché la mia preparazione mi ha fatto vivere serenamente e a mio agio quell’esperienza».

Ha raggiunto il suo sogno o ha ancora altri obiettivi? «Posso dire di averlo realizzato, perché ho sempre guardato il mondo musicale come un sogno e ora lo vivo da dentro ed ho la possibilità di avere sul palco artisti che avevo sempre ascoltato e visto ai concerti».

Quali sono i suoi idoli musicali? «Sono molti, in particolare Franco Battiato perché ha fatto parte della mia vita spiritualmente e musicalmente; rimane l’icona più importante nella mia carriera musicale».

Grazie ai Nomadi ha incontrato tanti artisti, ma anche tante personalità della cultura e della politica, qual è stato l’incontro più importante? «È avvenuto attraverso i Nomadi perché un fan siciliano mi ha fatto incontrare il filosofo Manlio Sgalambro, che era molto legato a Franco Battiato. Con lui ho passato due ore nel suo studio a parlare di musica e cultura, e credo sia una delle cose più speciali che ho vissuto in questi anni».

Qual è la sua canzone preferita tra quelle che avete scritto? «Mi piace molto “Lo specchio ti riflette”, un brano del 2009, che ha visto la nostra collaborazione con i Jarabe de Palo. Un altro brano a cui sono legato è “Qui è passato l’amore”. Particolare è il mio legame con “Io vagabondo”: pensate che, quando ero più giovane e suonavo nei pianobar, non conoscevo questa canzone e ogni volta che qualcuno la chiedeva la lasciavo suonare ai colleghi. Ora invece la suono quasi tutte le sere, ed è una grande emozione vedere come sia un brano amatissimo che lega molte generazioni».

Con il Covid-19 lei ha smesso di fare musica? Come ha influito sul suo lavoro? «Durante la pandemia il settore musicale è stato tra i più colpiti e si sono bloccati i concerti, che sono la nostra principale fonte di lavoro. È stato un periodo molto duro non solo per noi artisti sul palco, ma anche per le maestranze che lavorano per organizzare e rendere materialmente possibili i concerti».

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