I detenuti del carcere si raccontano La legalità come valore da preservare
Gli studenti della scuola Orceoli riflettono sulle condizioni dei reclusi grazie alla storia di uno di loro Antonio porta tra i banchi la sua esperienza: «Sono stati anni difficili, la vita in prigione è dura e spietata»

Tra le varie esperienze che la nostra classe ha affrontato negli ultimi mesi, la più significativa è stata sicuramente l’opportunità di incontrare un ex detenuto del carcere di Forlì. Abbiamo riflettuto su che cosa sia la legalità e imparato a darle il giusto valore. Era il 25 novembre scorso quando nell’Aula Magna della scuola Orceoli, abbiamo ascoltato il racconto di Antonio, che ci ha regalato la sua storia personale per invitarci a riflettere sulle conseguenze delle nostre scelte. Accanto a lui l’ex vicecomandante del carcere di Forlì, Mariateresa D’Agata, che ci ha fornito un punto di vista diverso sulla vita in carcere, ma sempre con parole cariche di umanità e possibilità di riscatto.
Antonio, ora 45enne, all’età di 30 anni si trovò ad affrontare una grave crisi economica. Non riuscendo più a pagare le bollette e l’affitto, una sera, preso dalla disperazione, decise di rapinare l’incasso di un negozio della sua città. Dopo qualche giorno fu catturato dalla polizia e venne condannato a due anni di carcere. «É stato il periodo più brutto della mia vita – ha raccontato Antonio –. Appena entrato in prigione, gli altri detenuti mi hanno preso di mira». Il momento della pausa caffè, ad esempio, era sempre un pretesto per essere aggredito verbalmente e fisicamente. Nonostante il suo reato non fosse stato grave come quello di altri, si trovò a dividere la cella con compagni violenti. Un evento che ha segnato profondamente la sua permanenza in carcere è stato il tentato omicidio a suo danno, architettato da alcuni suoi compagni di cella. Si era diffusa tra i detenuti la falsa notizia che ogni volta che un carcerato moriva, diminuivano gli anni di detenzione degli altri.
Un giorno i compagni di Antonio decisero di togliergli la vita: una volta che lui si fosse addormentato, avrebbero legato le lenzuola insieme come corda per strangolarlo. «Fortunatamente me ne sono accorto in tempo e ho iniziato a urlare, chiamando le guardie», ha continuato a raccontarci con la voce a tratti interrotta. Siccome una regola fondamentale del carcere è «non fare la spia», quando fu convocato in ufficio dalla responsabile del carcere non confessò l’accaduto. «Il silenzio è il segreto per vincere, l’indifferenza per sopravvivere». Da quel momento venne trasferito in un’altra cella, da solo, ma per la paura di essere aggredito nuovamente, rimase chiuso lì per mesi. Non usciva nemmeno per l’ora d’aria. Nonostante tutto, in carcere Antonio non perse la sua umanità. Qualche mese dopo il suo isolamento, misero in cella con lui un diciottenne, condannato per un grave reato. Il ragazzo piangeva di continuo. Antonio decise di aiutarlo: gli spiegò tutte le regole per sopravvivere nel carcere. In carcere bisogna combattere contro il «non fare niente, possedendo niente», infatti molti detenuti si allenano come se fossero in palestra con qualunque oggetto.
«Sono stati anni molto difficili e pericolosi perché la vita in carcere è dura e spietata», ha concluso. Il suo terribile gesto poi ebbe conseguenze anche familiari: sua moglie chiese il divorzio, i parenti non gli fecero più visita. La perdita degli affetti è una terribile conseguenza su cui ci ha fatto riflettere, soprattutto quando ha ricordato il figlio, per il quale sente di essere stato un pessimo esempio.
Sono passati tanti anni dalla rapina, ma Antonio si ricorda benissimo il momento in cui ha buttato al vento tutta la sua vita.
«Sono stati anni molto difficili e pericolosi perché la vita in carcere è dura e spietata». Le parole di Antonio ci hanno aperto gli occhi sulla realtà del carcere. Noi tutti pensiamo che questa storia ci abbia aiutato a capire il valore della vita. Lui ha commesso uno sbaglio, ma è riuscito a trasformare la sua storia in una grande lezione per noi. Oggi Antonio va nelle scuole e porta la sua preziosa testimonianza. Lo ringraziamo per essersi raccontato senza vergogna e timore di essere giudicato.
classe 3ªB