A scuola, nello sport e sui social: adolescenti vittime di bullismo
Per combattere questo fenomeno è necessario rispettarsi reciprocamente e sostenersi a vicenda, senza sentirsi superiori agli altri ma convivendo in serenità e senza avere pregiudizi
Negli ultimi anni il bullismo è diventato comune tra gli adolescenti e si manifesta nelle scuole, in ambito sportivo, in ambito extra-scolastico e sui social. Si presenta in vari contesti e con diverse cause.
I bulli, spesso, hanno vissuto un’infanzia infelice subendo, a loro volta, atti di bullismo. Sfogano quindi la loro rabbia sugli altri, per disprezzo nei confronti della vittima o per farsi vedere superiori, ma in realtà hanno molte insicurezze e paure.
Di solito i bulli prendono in giro per il modo di vestirsi, per il fisico, per il colore della pelle, per il modo di parlare. Conosciamo molte storie: una ragazza che è stata bullizzata per il fisico, sia da bambina che da adolescente, da altri ragazzi della sua età o più piccoli. Da piccoli sembra un gioco, ma crescendo la situazione appare in modo più serio e doloroso. Il conforto delle sue amiche è stato fondamentale per evitare di dare ascolto ai giudizi altrui.
Dicevamo che il bullismo si presenta, purtroppo, in varie forme: fisico, verbale e online. Il bullismo fisico è quello più visibile, che si manifesta con atti di violenza, come pugni, calci, spinte, schiaffi che possono lasciare segni visibili sul corpo; il bullismo verbale comprende insulti, minacce, prese in giro, offese e può essere altrettanto devastante perché le ferite che lascia non sono visibili sul corpo ma possono risultare anche più difficili da curare. Il bullismo sui social è diventato quasi una normalità, perché tutti i giorni i ragazzi di tutte le età sono costantemente immersi in questa realtà che prende sempre di più il sopravvento, costringendo la vittima a non avere più un luogo dove rifugiarsi a causa dei bulli che la colpiscono 24 ore su 24.
Gli effetti del bullismo sono devastanti. Chi ne è vittima può soffrire di ansia, depressione solitudine e nei casi più estremi di pensieri suicidi. Le vittime tendono a chiudersi in se stesse, evitando di socializzare e perdendo interesse nelle attività scolastiche ed extrascolastiche.
La persona può rimanere intrappolata e non riuscire ad uscirne fuori.
Secondo noi è fondamentale che la società, dalle scuole alle famiglie, si impegni per creare un ambiente rispettoso, dove ogni individuo possa sentirsi sicuro e apprezzato per ciò che è. Per combattere il bullismo è necessario rispettarsi reciprocamente e sostenersi a vicenda, senza sentirsi superiori agli altri ma convivendo in serenità e senza pregiudizi verso gli altri.
Giulia Chiofalo, Vittoria M. Campanelli, Sophie Breccia e Ruben Di Genova 3Fscuola Fagnani Senigallia
Nel bellissimo documentario di Fabio Ilacqua, dal titolo «Ten Years Later», uscito nel 2017, vediamo il progetto di padre Renato Kizito Sesana che voleva aiutare i ragazzi bisognosi della periferia di Nairobi per diminuire il problema dei bambini di strada. Questi ragazzi non avevano né casa né famiglia quindi molto spesso finivano per fare uso di sostanza illecite.
Padre Renato decide quindi di aprire una casa d’accoglienza in cui dare cibo, un luogo dove stare, istruzione ed attività ludiche. Il titolo del documentario è «Dieci Anni Dopo» per un motivo preciso: mostra le differenze, nelle vite di questi giovani, e come sono cresciuti all’interno dello Ndugu-Mdogo Rescue Centre nell’arco di 10 anni, mettendo a confronto storie degli stessi bambini tra il 2005 e il 2015. Personalmente penso che il progetto della casa di accoglienza, sia utilissimo perché così al posto di cercare il cibo tra la spazzatura, i ragazzi hanno una possibilità di avere una vita migliore e di non morire nel giro di pochi anni, infatti molti di loro, dopo 10 anni, sono diventati i migliori della classe, avendo la possibilità di aspirare ad un futuro migliore. La questione della povertà che troviamo in Africa, della criminalità e dell’assenza di una rete familiare, purtroppo, credo si trovi anche in Italia e in molte altre parti del mondo.
Penso sia un problema di tutto il pianeta, a prescindere dal fatto che in un determinato paese ci siano persone povere o no, perché se lo consideriamo un problema di tutti avremo la sensibilità giusta per aiutare le persone più bisognose. La povertà in Italia si vede perché ci sono tanti senzatetto che elemosinano per strada, come a Roma o Milano.
Noi tutti nel nostro piccolo, se incontriamo un senzatetto, possiamo fare qualcosa, comprargli del cibo, dell’acqua, una coperta, un cuscino e possiamo anche dargli dei soldi. Nel nostro paese alcune persone diventano povere a causa delle loro dipendenze. Nel documentario invece, alcuni di quei ragazzi utilizzavano la colla come sostanza stupefacente perché nessuno si prendeva cura di loro, erano soli, persi nella periferia di una metropoli subsahariana. Tale stordimento li aiutava a sopportare la loro situazione fisica ed emotiva. Grazie ai volontari dell’Associazione Amani Onlus venuti nella nostra scuola abbiamo potuto capire meglio la vita che fanno questi ragazzi e il lavoro che svolgono i volontari.
Kevin Pistoli 3F scuola Fagnani Senigallia