Quando i social dettano lo slang «Ciaone bro’, facciamo ape?»
La scuola media Antonio Allegri di San Martino in Rio analizza il linguaggio dei giovani di oggi «Viene utilizzato per essere accettati in un gruppo». Ma anche da adulti e genitori ‘boomer’
Oggi giorno i giovani, per parlare tra di loro, usano un linguaggio diverso da quello degli adulti e per questo motivo spesso, non sono compresi e talvolta vengono apostrofati in modo dispregiativo. In realtà il linguaggio giovanile esiste da sempre, ma cambia in fretta nel giro di pochi anni, perché viene utilizzato dagli adolescenti quindi da una particolare fase anagrafica che velocemente passa. Colloquiale, incide in particolare sul lessico, non sulla costruzione della frase quindi non sulla sintassi ed è informale. Questo gergo lo utilizzano per sentirsi coinvolti nel gruppo in cui si trovano e per essere accettati dai ragazzi che ne fanno parte quindi, un modo per entrare in un gruppo e non rimanere isolati o derisi. Tale modo di comunicare lo utilizzano tutti i giorni, sia fuori che dentro l’ambito scolastico.
Chi detta legge sono i social network e il rap. Tutto ciò ha cambiato la vita quotidiana di tutti, non solo dei ragazzi e i termini perlopiù, derivano dal mondo angloamericano, dato che l’inglese è l’attuale lingua veicolare.
I ragazzi guardano incessantemente lo schermo di un telefonino, mentre mangiano, camminano per strada, quando sono in gruppo con gli amici, quindi apprendono questo linguaggio inevitabilmente. Certi termini sono inventati anche dagli influencers, a seconda delle mode del momento. Alcune espressioni: «chill» stai calmo, rilassato, «cringe» quando una situazione è imbarazzante o spiacevole, «amo» per rivolgersi ad un’amico, «ghostare» se voglio sparire nel nulla o non farmi più sentire all’improvviso in una situazione sentimentale o di amicizia oppure «fra» «bro» «zio» utilizzati per rivolgersi ad un amico sono ormai entrati nel modo di esprimersi dei ragazzi tanto, da escludere a volte dalla comprensione gli adulti. Ai tempi dei nostri genitori quando capitava non andassero a scuola di nascosto, si diceva «marinare le lezioni» o «fare focaccia», oggi invece il termine che li ha sostituiti è «paccare».
I nati negli anni ’60, ovvero i figli del boom economico, vengono derisi amichevolmente con il termine «boomer» e soprattutto dai giovani vengono immediatamente scoperti da come «droppano»: cioè postano un’immagine o un video oppure per come scrivono sul telefono i messaggi con un dito e non alla velocità della luce con due. La forbice si allarga sempre di più fra gli adulti e gli adolescenti, eternamente incompresi, ma si potrebbe trovare un compromesso e, quando i grandi vogliono risultare «giovani» e fare colpo su di noi, potrebbero intanto dire: «che drip la tua nuova felpa», ti va di andare a fare «ape»? Salutandoci con un bel «ciaone».
Francesco Ferrari Giulia Gasparini Sofia Scarpa e la classe IB
Oggi quanti sanno cosa sia l’armadio della vergogna? Nei libri di storia scolastici non se ne parla. Abbiamo avuto la fortuna di poter conoscere chi se n’è occupato in prima persona: il procuratore Marco De Paolis. Solo nel 2002 – dal 1960 – si sono scoperti documenti all’interno di questo armadio che riguardavano le stragi nazifasciste avvenute nel 1944. San Cesario sul Panaro, Certosa di Farneta, Sant’Anna di Stazzema, Civitella Cornia San Pancrazio, Marzabotto, San Terenzio Vinca, Padule di Fucecchio, quelle sull’Appennino tosco-emiliano e a Cefalonia. Tutti luoghi che abbiamo conosciuto attraverso la lettura dei libri scritti dal procuratore De Paolis e spiegati in occasione dell’incontro.
Ci ha raccontato quanto sia stato complicato portare avanti indagini su fatti accaduti in un passato remoto senza avere tante testimonianze dirette perché alcuni protagonisti per ovvi motivi di età, erano già deceduti.
Difficilissimo anche ascoltare i racconti diretti di chi si era macchiato di atrocità inaudite e altrettanto triste ascoltare i parenti dei caduti ricordando i loro cari.
Marzabotto ha portato alla morte più di 800 persone di cui 200 bambini. E le stragi dell’Appennino oltre 350 vittime. Durante i processi era evidente la speranza delle vittime di poter avere giustizia da contrapporre all’insofferente freddezza degli imputati. L’unico modo per poter dare voce a questi innocenti è conoscere, raccontare e non dimenticare.
Abbiamo aderito al «Safer internet day», la giornata mondiale per la sicurezza in Rete, istituita e promossa dalla Commissione Europea e con l’aiuto del nostro assistente tecnico, ora sappiamo che ogni volta che pubblichiamo sui social, tutto potrebbe essere salvato o modificato da qualcuno ed essere inoltrato a nostra insaputa. Lo stesso giorno, ha spopolato la canzone dei Coma Cose. «Cuoricini», presentata al festival di Sanremo. Ci siamo accorti che al di là dell’apparente significato spensierato e veloce da ricordare, ne emerge un altro importante, cioè l’abuso dei social anche fra due fidanzati o amici che può sforare in sentimenti negativi e di incomprensione reciproca.
Infatti, parlarsi guardandosi negli occhi ed ascoltando la voce dell’altro non può essere paragonato a tanti messaggi o emoji.
Fossero anche tanti cuoricini.
Samuele Lirani Vira Nauliak Nicolò Notolieri Classe I B