Tutti noi indossiamo magliette Cosa si nasconde dietro le t-shirt?
I ragazzi della scuola ‘Mattei’ analizzano il ciclo produttivo del capo di abbigliamento Dalle piantagioni di cotone alle fabbriche, tra lavoratori sfruttati e costi ambientali
La t-shirt è il capo di abbigliamento più diffuso al mondo, ma probabilmente non ci siamo mai chiesti quale sia la sua storia.
Gli indumenti non sono semplici oggetti: hanno una storia complessa e, credimi, non rivedrai mai più una t-shirt allo stesso modo dopo che avrai scoperto cosa nasconde.
In classe ci è stato proposto un laboratorio con la dottoressa Elena Casadei, nel quale abbiamo letto l’etichetta dei nostri abiti per conoscerne la provenienza. Ci siamo stupiti scoprendo che molti oggetti di uso quotidiano provengono da Paesi lontani; poi ci siamo occupati del ciclo di vita delle t-shirt, la cui produzione nasconde una filiera molto lunga e che ha un certo impatto ambientale, basta pensare che per produrre una maglietta servono circa 2.700 litri di acqua.
Provo a raccontare la sua storia.
Tutto ha inizio nelle piantagioni di cotone, in America, Cina o India, in cui si fa abbondante uso di pesticidi, a discapito dell’ambiente e della salute delle persone. Il cotone viene raccolto, imballato e inviato verso industrie che lo trasformano in tessuto sbiancato e poi colorato. Per la trasformazione della fibra di partenza sono necessarie molta acqua ed energia, l’industria tessile è infatti tra quelle più inquinanti. Il tessuto colorato viene quindi trasportato con navi, treni e tir, di solito in Bangladesh, Cina, India o Turchia, dove le t-shirt vengono confezionate da lavoratori spesso sfruttati. Tra lo-ro ci sono anche bambini che rinunciano alla salute, al gioco e all’istruzione per aiutare economicamente le famiglie, sebbene ricevano stipendi molto bassi. Questo succede in Bangladesh, per esempio, dove lavorano in condizioni terribili: in luoghi sporchi, affollati e privi di finestre.
Una volta confezionata, la t-shirt affronta un lungo viaggio per arrivare nei negozi di tutto il mondo e, da lì, si sposta nei nostri armadi. Il suo impatto ambientale non termina, però, qui: noi la indossiamo e la laviamo, consumando altre risorse e inquinando, infine la buttiamo, spesso perché non ci piace più, trasformandola in un rifiuto che può impiegare anche molto tempo per degradarsi, se non è fatta di solo cotone. A volte i nostri abiti finiscono in discariche illegali situate in luoghi lontani; nel deserto di Atacama, in Cile, per esempio, ci sono dune piene di jeans usati o addirittura nuovi, scarti del fast fashion provenienti dall’Europa e dagli Usa.
Eccoci alla fine della storia.
Una storia che deve far riflettere.
Non possiamo non prendere in considerazione il lavoro necessario per produrre un indumento.
Possiamo riciclare la nostra maglietta, ma dobbiamo soprattutto ripensare al ciclo di produzione nel momento in cui ne acquistiamo una, scegliendo in modo più consapevole per il futuro del pianeta.
Che ne pensi? Personalmente, dopo questo laboratorio mi sembra che le magliette valgano quanto l’oro!
Beatrice Lombardo, Tommaso Corsanici, Anna Penso, Marianna Savigni, Marie Sophie Trevisan, classe 2^ A Scuola media ‘Mattei’ di Marina di Ravenna Prof.ssa Roberta Angelini
Noi alunni della classe 3^C della scuola ‘Mattei’ ci siamo recati in visita al Tecnopolo di Marina di Ravenna, un centro di innovazione in cui ricerca, tecnologia e sostenibilità si uniscono per sviluppare soluzioni all’avanguardia.
La sede è stata fondata da un celebre imprenditore, Raul Gardini, che pensava che ogni azione ambientale o ogni attività economica dovesse essere svolta con un’attenzione particolare per l’ambiente; in questa sede, un tempo ‘Centro di Ricerca Montecatini’, si sono svolte ricerche su idrocarburi, subsidenza naturale, emissioni in atmosfera e molto altro.
La cosa che più ci ha interessato è stato scoprire che oggi il Tecnopolo si occupa del biochair, un carbone vegetale ottenuto da un semplice legno che viene carbonizzato in appositi forni con temperature che arrivano a 2000°C. Questo materiale può essere utilizzato come additivo negli alimenti per animali, come solvente nell’edilizia, e nella decontaminazione ambientale può fungere da filtro per la purificazione delle acque e del suolo, o può assorbire sostanze organiche maleodoranti. L’esperta che ci ha guidato nel Tecnopolo ha eseguito un esperimento che aveva lo scopo di mostrare quale impatto sulla natura potrebbe avere il biochair se venisse usato in grandi quantità, come ad esempio ridurre l’inquinamento delle acque, assorbendo le sostanze inquinanti e nocive per l’ambiente.
Grazie a questa visita ho capito che la ricerca è fondamentale per il futuro del nostro pianeta.
Niccolò Simone, classe 3^C Scuola media ‘Mattei’ di Marina di Ravenna Prof.ssa Alessandra Grilli