La dura storia di un emigrante «In cerca di una vita migliore»
Uno studente racconta le vicende del nonno «Ha lavorato sodo in Austria e fatto tanti sacrifici per la famiglia. È morto nel 2022 e mi manca»
L’emigrazione dall’Italia cominciò a fine Ottocento, quando contadini e montanari partivano per andare in Svizzera, Austria, Germania, alcune volte facevano lavori stagionali che permettevano loro di tornare periodicamente a casa. Costruivano ferrovie, ponti, strade e gallerie, svolgevano qualsiasi lavoro manuale e la loro vita era dura, in condizioni ancora più difficili per chi voleva partire per l’America, gli Stati Uniti, il Brasile o l’Argentina. C’erano anche famiglie intere che si imbarcavano in navi a vapore dai porti di Genova e Napoli, con biglietti di terza classe di sola andata. Viaggiavano per oltre un mese, ammassati nelle stive e a bordo non c’era neanche un medico né assistenza sanitaria e servizi igienici adeguati. Le infezioni erano frequenti e chi moriva veniva gettato in mare.
Si è calcolato che dal 1846 al 1915 hanno lasciato l’Italia circa 14.027.250 persone. Nel periodo tra le due guerre mondiali, le partenze diminuirono fortemente. Sono stati 4 milioni gli italiani che emigrarono, la metà si trasferì in America, ci furono anche per la prima volta emigrazioni pure in Australia. L’emigrazione riprese dopo la Seconda guerra mondiale. L’Italia era un paese distrutto e senza risorse economiche, furono 8 milioni e mezzo gli italiani che partirono verso i Paesi europei, come Belgio e Svizzera, e perle nazioni oltre oceano, come Canada e Usa, ma anche per il centro e il Sud America, per l’Australia e la Nuova Zelanda.
Esperienze simili sono state vissute anche dalla mia famiglia, in particolare da nonno, che all’inizio della crisi dell’ex Jugoslavia, emigrò in Austria per migliorare la vita di sé e della famiglia. Per cinque anni ha dovuto dormire in baracche, cantieri e cantine di case abbandonate, fino a quando non ha trovato una abitazione. I primi cinque anni ha incontrato anche molte difficoltà per riuscire a vedere la famiglia, perché ogni volta che andava a trovarla, quando doveva ritornare in Austria, gli veniva ritirato il passaporto dalla polizia jugoslava. Una volta è stato anche prigioniero politico per un mese, sotto il controllo della polizia jugoslava.
Lui, come occupazione, faceva strade, metteva l’asfalto, lavorò in queste condizioni dure senza vedere la famiglia fino alla pensione e solamente dopo è ritornato a vivere insieme con i suoi cari. Nonno è riuscito a venire qui in Italia alcune volte, in particolare quando non riuscivamo ad andare a trovarlo in Macedonia.
Sfortunatamente, piano piano, con il passare degli anni, iniziava a non sentirsi molto bene. Ricordo che quando ci accompagnava al parco giochi, dopo 10 minuti, doveva riportarci a casa perché non riusciva a stare seduto e poi si stancava molto facilmente. Tutto questo non gli impediva di essere buono con noi, di riempirci di affetto, ci dava sempre dei soldi per andare a divertirci e per comprare qualcosa. Una volta, però, stava malissimo e mio padre e mio zio decisero di andarlo a prendere per farlo curare in Italia. Il giorno dopo essere arrivato, venne un’ambulanza a prenderlo per portarlo all’ospedale. L’ultima volta che sono riuscito a parlargli era al telefono con mia nonna. Notai che stava malissimo. Per quanto stava male, non mi rispose, chiedeva medicine a mia nonna, ma non capiva che gliele stavano dando attraverso la flebo. Con difficoltà i miei genitori e i miei zii riuscivano a vederlo e io e i miei cugini non potevamo entrare nella sua camera d’ospedale. Fino a quando, di venerdì, precisamente il 23 settembre 2022, morì, lasciandomi un vuoto enorme nel cuore, come a tutta la nostra famiglia. Ti voglio bene nonno.
Osmni Dijar 3ªC
Bob Dylan e Giacomo Leopardi, appartenenti a epoche e luoghi molto diversi, apparentemente sembrano non avere nulla in comune, invece sono molto simili e infatti sono uniti dalla ribellione verso le convenzioni dettate dalla società e dalle rigide regole dei generi musicali e letterari a cui appartengono. Negli anni ’60, Dylan inizia a distaccarsi dallo stile «puro» del maestro, scatenando sdegno tra i sostenitori più amanti del folk, mentre altri sono affascinati dalla contaminazione con i ritmi del rock’n’roll, al punto che lo nominano fondatore di un nuovo genere: «folk-rock». Parte della fama di questo cantautore deriva pure dai suoi testi che affrontano con amarezza e attenzione i problemi sociali parlando al cuore dei giovani. Quest’icona ha ricevuto molte onorificenze: nel 2016 gli è stato conferito il Nobel per la Letteratura per aver creato «una nuova poetica espressiva all’interno della grande tradizione canora americana». Questo accadde più di 130 anni dopo la morte di Leopardi, che a oggi consideriamo uno dei maggiori esponenti della letteratura italiana. Anche lui era considerato un anticonformista dai contemporanei che ne criticavano la poesia, visto che non seguiva alcuna metrica; questo gli serviva per rendere ancora più pure le idee e le emozioni che trascriveva nei componimenti, nei quali parla di gioventù e delle esperienze appartenenti a questa età.
Daria Diaconu 3ª C