Combattiamo il gioco d’azzardo «Sempre più giovani ci cascano»
La scuola di Savignano sul Rubicone ha aderito al progetto della Comunità Papa Giovanni XXIIIper sensibilizzare gli studenti sui pericoli delle scommesse e sui rischi connessi alla ludopatia

Il gioco d’azzardo non è un ‘gioco’ ma, purtroppo, sempre più giovani ne vengono attratti. È con questa consapevolezza che la scuola secondaria Giulio Cesare ha aderito al progetto promosso dalla Comunità Papa Giovanni XXIII per sensibilizzare gli studenti delle classi terze sui pericoli del gioco d’azzardo e delle scommesse. I giorni 21 e 27 novembre 2024, due esperti dell’associazione, Davide e Feti, hanno incontrato gli alunni della classe 3D per affrontare il tema con un approccio interattivo e coinvolgente, alternando momenti di discussione a simulazioni pratiche .È stata un’esperienza diretta con il gioco d’azzardo. Durante il primo incontro, gli esperti hanno subito posto una domanda diretta ai ragazzi: «Avete mai avuto contatti con il gioco d’azzardo?». Per stimolare la riflessione, hanno poi distribuito immagini legate a vari giochi: slot machine, carte, fish per scommesse, scacchi e calcio. Ogni studente ha scelto un’immagine e ne ha spiegato il significato personale. Molti hanno condiviso ricordi legati alla famiglia o alle proprie passioni sportive, creando un momento di scambio significativo.
L’attività si è poi spostata su una simulazione pratica: il classico gioco «Testa o croce», ma con una variante d’azzardo. Ogni partecipante aveva a disposizione cinque fish e doveva decidere se scommettere su una delle due facce della moneta o tenersi le proprie fiches. La moneta, lanciata senza contatto umano per garantire l’imparzialità, determinava vincitori e sconfitti. Chi indovinava raddoppiava la propria puntata, chi perdeva rimaneva senza nulla.
L’esperimento ha evidenziato gli effetti psicologici tipici del gioco d’azzardo: euforia per la vittoria, frustrazione per la sconfitta e il desiderio compulsivo di continuare a giocare. Nel secondo incontro, gli esperti hanno approfondito ‘le dinamiche del gioco d’azzardo e i rischi della dipendenza’ analizzando le caratteristiche del gioco d’azzardo e distinguendolo dai giochi tradizionali. Un’attività diventa d’azzardo quando: il risultato dipende esclusivamente dalla fortuna e non dall’abilità del giocatore; per partecipare è necessario puntare beni materiali o denaro; la possibilità di vincere crea un’illusione di guadagno facile.
A supporto della loro spiegazione, Davide e Feti hanno raccontato episodi reali, come quello di un imprenditore che, in una partita di poker, ha perso l’hotel di sua proprietà e, sopraffatto dalla disperazione, ha scelto di togliersi la vita. Storie tragiche che dimostrano come il gioco d’azzardo possa trasformarsi in una vera e propria trappola. I dati parlano chiaro: in Italia 14 milioni e mezzo di persone hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno e il fenomeno coinvolge sempre più giovani. Il 25% dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni ammette di aver giocato almeno una volta, mentre il 6% soffre già di una di-pendenza patologica.
Ma cos’è esattamente il gioco d’azzardo patologico? Si tratta di una dipendenza che spinge il giocatore a scommettere in modo compulsivo, convinto che la prossima giocata sarà quella vincente.
Anche quando si perde ripetutamente, la speranza di una grande vincita futura mantiene il giocatore intrappolato in un circolo vizioso, con conseguenze economiche e psicologiche devastanti.
Queste lezioni ci hanno permesso di riflettere e gli incontri hanno avuto un forte impatto sugli studenti.
Lorenzo Ciammaruconi e Bianca Paganelli della classe3ªD scuola media di Savignano
«Il mio pazzo bijou» è un laboratorio, che abbiamo fatto a scuola, in cui abbiamo creato spille e portachiavi a forma di pupazzo, realizzati con la tecnica del cucito e del ricamo. Mi è rimasto impresso tutto del laboratorio: l’aula scolastica in cui mi sono impegnata a creare i bijoux, la musica di sottofondo, i ragazzi che partecipavano al laboratorio con me e che lavoravano come facevo io. La professoressa Branducci mi ha insegnato a creare il mio pupazzo: all’inizio pensavo che ricamare fosse noioso e anche fastidioso, perché ognuno deve confrontarsi con la propria incapacità e con gli errori, ma più lo svolgevo, più ricamare mi faceva sentire soddisfatta di me stessa e rilassata.
Alla fine le professoresse ci hanno fatto i complimenti per il lavoro svolto, anche se a me sembrava che il mio fosse venuto un po’ storto. Questo laboratorio mi ha suscitato tanta felicità e gioia, purtroppo, a volte provavo anche rabbia, a causa dell’ansia e dello stress che ho subito all’inizio, però, lavorare con il ricamo, mi ha aiutato a combattere alcuni aspetti negativi della mia persona. Voglio ringraziare per avere avuto la possibilità di fare questo laboratorio, perché è stato divertente stare in compagnia, imparare cose nuove e avere la possibilità di prendersi il tempo per pensare, infatti la mia mente si è riempita di centinaia di ricordi, che custodisco tuttora.
Ema Marku, classe 2ªCdella scuola ‘Giulio Cesare’ di Savignano sul Rubicone