Pola tra Italia e Jugoslavia E la sofferenza dei suoi abitanti
I ragazzi della scuola media di Amandola raccontano di Demian, arrivato in paese poco prima di iniziare la scuola dell’infanzia, che ha interrotto la lezione quando si parlava della Croazia

«Prof, prof, Pola è la mia città natale». Così e con tanto entusiasmo, Demian ha interrotto la lezione di geografia che si stava svolgendo in classe, sulla Croazia. Noi della classe seconda sappiamo che Demian è arrivato in Amandola poco prima di iniziare la scuola dell’infanzia, ma non ricordavamo la sua città d’origine. Eravamo all’inizio del mese di febbraio e si sentiva parlare molto delle zone dell’Istria, così da incuriosirci. Situata all’estremità meridionale della penisola istriana, Pola è custode della storia antica e classica della Croazia. La sua posizione strategica sul Mare Adriatico ne ha fatto un bene prezioso per Romani, Bizantini, Veneziani e Asburgo, che hanno lasciato resti delle loro civiltà. La fortezza, il museo archeologico, l’arena dell’anfiteatro ‘gdje još postoje predstave borbi gladijatora (dove ancora si esibiscono i gladiatori)’, il tempio di Augusto, la biblioteca marina, la chiesa e il monastero di San Francesco, la cattedrale dell’Assunzione della Beata Vergine Maria: «Moj boze, toliko toga! (Mamma mia, quante cose)» commenta Demian nella lingua madre, elencando le attrattive di Pola. Oltre alla forma circolare e alle due strade cittadine principali, a Pola della fortificazione preistorica non è rimasto niente. La storia della città inizia con i romani che fondano la Colonia Pietas Iulia Pola. Dal VII secolo si rilevano le prime colonizzazioni slave. Dopo il 1331 finisce sotto il dominio veneziano e diviene il punto di transito da Venezia verso il Levante. Poi l’Istria e Pola passano sotto il dominio austriaco. Quando nel 1856 è inaugurato l’Arsenale (base militare della marina austriaca), inizia lo sviluppo moderno della città e dell’Istria meridionale. Alla fine della prima guerra mondiale, l’Italia ottiene la sovranità sulla Venezia Giulia: Pola è una delle nuove province. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 nascono le formazioni partigiane italiane, che combattono contro l’occupazione nazista ma si devono guardare anche dai partigiani slavi, ostili agli italiani.
Con la ritirata dei tedeschi nella primavera 1945, Pola viene invasa dalle milizie partigiane jugoslave. Il Comitato Popolare di Liberazione annuncia l’avvenuta annessione alla Jugoslavia. In questo periodo iniziano delle vere e proprie persecuzioni nei confronti degli autoctoni italiani, favorendone l’esodo in massa. Ufficialmente Pola diventa slava con il Trattato di pace firmato dall’Italia il 10 febbraio 1947 e solo dopo la metà del Novecento rinasce e si sviluppa nella città più grande dell’Istria, importante per l’industria navale e per il turismo. Resta da capire cosa hanno provato i 28 mila abitanti di Pola che con l’esodo abbandonarono beni e proprietà piuttosto che divenire jugoslavi.
Classe II A, coordinata dalla docente Ornella Virgili
«Ero solo un ragazzino quando sono andato via dall’Istria e non sapevo molte cose. La mia famiglia è stata tra le prime ad andarsene». Così inizia a raccontare la sua esperienza Egidio Diminic, 85 anni, parente di Demian.
«Dopo la guerra ci fu un referendum per chiedere alle persone da che parte stare: Italia o Jugoslavia. Si passò al governo slavo e quelli che la pensavano così, punirono chi votò contro. A mio padre fecero perdere il lavoro, altri subirono aggressioni ed omicidi. Chi non accettò l’esito del referendum, per rimanere italiano dovette abbandonare tutto e andar via. Si poté partire in modo volontario con passaporto fino al 1957. Dopo di che, chi non volle integrarsi al governo slavo fu costretto a scappare. Molte persone furono imbarcate su navi che partivano dal porto di Pola dirette a Trieste per essere sistemati in campi profughi. Uno di questi era il San Sabba munito di forno crematoio, utilizzato come campo di concentramento durante la guerra. Altri emigrarono in tutto il mondo. Circa 350mila persone sono andate via dall’Istria cercando di portare con sé quanto più potevano. Noi ce ne andammo volontariamente e giunti in Italia siamo finiti al campo profughi ad Udine. Da lì, in un centro di accoglienza a Tortona (Al) per poi trasferirci in una casa popolare ad Alessandria. La vita per noi esuli istriani non era facile: eravamo discriminati e trattati male».
Classe II A
Egidio, cosa sono le foibe? «Erano tante. In Istria, Slovenia, ma non se ne è mai voluto parlare. L’Italia aveva perso la guerra e cercava l’oblio per questioni ormai non più italiane, ed era volontà unanime dimenticare quegli eventi disumani». Albina Šegota, ha 103 anni, è la bisnonna di un’amica della mamma di Demian e vive vicino Pola. «Figli miei prima gli italiani buttarono dentro alle foibe gli slavi, poi gli slavi fecero la stessa cosa agli italiani. Alla fine, dentro ci sono finiti gli uni e gli altri.
Hanno ucciso anche mia madre, l’hanno bruciata in una delle buche, foibe. Il motivo non si sa».
Dalla testimonianza abbiamo capito che ogni storia ha due facce e in guerra, nessuna delle due è pulita.
Perché si continua con le guerre? Dopo aver riaperto le ferite delle vite di Egidio e nonna Albina, e aver sofferto con loro per le ingiustizie subite, si rafforza in noi il desiderio di pace ed è incomprensibile che tante nazioni continuino a stare in guerra.
Classe II A