Storia e prospettive distopiche Il grande valore di essere liberi
Ecco il pensiero degli studenti dell’Isc Spinetoli-Acquaviva-Monsampolo: la cultura è la chiave per non ripetere gli stessi errori del passato: leggere, informarci e studiare

Il racconto distopico parte dall’analisi dell’attualità e ne presenta una versione degenerata. I brani letti in classe ci mostrano un futuro in cui la società è controllata dall’intelligenza artificiale attraverso dispositivi elettronici e assistenti vocali. Presentano scenari in cui le persone sono sorvegliate in ogni momento della loro vita e persino il pensiero viene manipolato da un’AI che sa tutto di tutti e considera un problema «il divergente». Tali racconti ci mostrano quindi un uomo costretto e violentato, ma se riflettiamo è stato così anche in passato: i totalitarismi hanno condizionato gli individui e li hanno privati della loro libertà.
Noi oggi viviamo in un paese libero, ma la libertà va protetta ogni giorno, la storia ci ha mostrato cosa succede quando viene tolta, la letteratura e i film ci avvertono su come potrebbe essere il futuro se non siamo attenti. Anche nelle nostre società ormai la tecnologia è impiegata per condizionare le scelte di ciascuno: usiamo la tecnologia per trovare la risposta a ogni dubbio o interesse, ma spesso è proprio l’AI a guidare le nostre scelte. Fortunatamente noi possiamo considerarci liberi, ma è fondamentale continuare a garantire questa libertà per evitare che il passato ritorni e il distopico diventi reale. Ma come fare? Dobbiamo partire dal considerare e valutare ciò che è strettamente umano e che ci distingue dall’AI. Nelle società distopiche, chi sente e pensa diversamente viene considerato un problema, ma ogni essere umano è unico e diverso dagli altri e pensa, si emoziona, ricorda, agisce: questa è la sua vera identità.
Essere liberi significa poter provare emozioni senza paura, poter essere se stessi senza rischiare di essere esclusi o giudicati. Significa difendere il diritto di ciascuno ad essere diverso, ad esprimere le proprie idee, a poter dire di no. La libertà e i nostri diritti vanno protetti ogni giorno e noi possiamo difenderli rispettando l’idea degli altri anche quando non la condividiamo. La cultura è la chiave per non ripetere gli stessi errori del passato; leggere, informarci e studiare sono atti che ci manterranno liberi, se non li esercitiamo rischiamo di cadere negli stessi errori di tanti popoli del passato. Fin da piccoli ci viene concessa l’istruzione e grazie ad essa, si può dire che avremo gli strumenti per vivere nel mondo attuale e in quello futuro, essa può essere lo strumento per proteggerci e garantirci la libertà: la nostra arma contro la distopia.
Mercoledì 26 febbraio le classi 3A, 3B e 3D della scuola secondaria di Pagliare hanno partecipato allo spettacolo ’La Locandiera’ del celebre autore Carlo Goldoni. La rappresentazione si è svolta presso il teatro Concordia a San Benedetto a cura della compagnia ’Fab Sipario’. La protagonista della storia, Mirandolina, è una donna astuta e intelligente che usa il suo fascino per attirare ricchi clienti nella sua locanda. Ma un giorno si presenta un cavaliere che odia le donne. Mirandolina allora non si dà per vinta e cerca in tutti modi di farlo innamorare di lei, riuscendo nell’obiettivo. Alla fine per difendere la propria reputazione la donna è costretta a sposare il cameriere Fabrizio, mantenendo fede alla promessa fatta al padre in punto di morte. Lo spettacolo è stato molto bello e vivace, l’interpretazione degli attori molto coinvolgente, la trama incalzante, i costumi e la scenografia curatissimi hanno reso la rappresentazione ancora più realistica e divertente.
Allontanarsi dal proprio Paese è un’esperienza che segna profondamente la vita di una persona. Ecco il resoconto di alcune interviste di nostri familiari «migranti». Luciana, nonna di Sara, trasferitasi da bambina negli Usa insieme ai suoi familiari, nonostante le difficoltà nell’imparare la nuova lingua, ricorda di aver goduto dell’acqua corrente e della tv in casa, comfort all’epoca inesistenti in Italia. Teresa, zia di Giacomo, partita per l’Argentina a 16 anni per raggiungere i suoi, gestori di un panificio a Buenos Aires, si è trovata molto bene nella comunità italiana che le ha permesso di imparare la lingua. Atef, il padre di Melek, giunto in Italia dalla Tunisia a 22 anni in cerca di un futuro migliore, ha frequentato una scuola serale per imparare la lingua italiana, che lo ha aiutato ad adattarsi. Daiane, la zia di Leonardo, si è trasferita in Italia dal Brasile nel 2013 per riscoprire le sue origini italiane. Aiutata dal fidanzato italiano è riuscita ad integrarsi presto, apprezzando la cultura e il cibo italiani. Continua però a sentire nostalgia di casa. Reshma, madre di Raoul, è giunta in Italia dall’India da bimba grazie ad un’adozione. Felicissima di aver trovato una nuova famiglia, si è sentita accolta, anche se non è riuscita ad imparare subito la lingua.
Il suo sogno? Tornare nel suo Paese per riscoprire le proprie origini insieme ai suoi figli nati qui in Italia. In conclusione, trasferirsi in un Paese straniero significa affrontare tanti cambiamenti e difficoltà, ma è una sfida che arricchisce.
La pagina è curata dagli studenti dell’Isc Spinetoli-Acquaviva-Monsampolo. L’articolo di apertura è a firma di Giorgia Torresi e Marwa Maouhoub (3A); le storia di migranti sono opera di Angelini Sara, Argoubi Melek, Calcagni Giacomo, Ciabattoni Raoul e Starace Leonardo (3B). Il pezzo sulla Locandiera è di Cristian Bollacchino, Andrea Tanzi, Diego Magliotti e Giulio Nepi (3B). Gli studenti sono stati coadiuvati dalle professoresse Paola Panarese e Giorgia De Angelis.