L’amore ai tempi di internet Cosa è cambiato negli anni
I ragazzi dell’Isc Folignano-Maltignano si soffermano sul tema dei sentimenti: l’attrazione dipende più dai beni materiali e dall’aspetto estetico che dal carattere o dalle passioni in comune

Con il passare dei decenni, è evidente ormai che il concetto di amore non sia più lo stesso, anzi oggi l’amore totalmente diverso da com’era ai tempi dei nostri genitori. Una delle cause principali è l’arrivo di internet, soprattutto dei telefoni, per mezzo dei quali è più facile socializzare, tanto che spesso nascono relazioni a distanza tra due persone che non si sono mai viste se non su uno schermo. Infatti molti ragazzi preferiscono rivelare i propri sentimenti con un messaggio, simulando una timidezza non sempre reale. Sono cambiati anche i valori alla base di una relazione. Ad esempio prima la domanda più frequente era «Chi sei?», ai giorni nostri piuttosto è «Cosa hai?»: capiamo allora che l’attrazione dipende più dai beni materiali e dall’aspetto estetico che dal carattere o dalle passioni in comune.
Ma i ragazzi di un tempo erano davvero così diversi da noi? Ebbene sì, le persone si conoscevano nel momento in cui si incontravano per la prima volta, a scuola, in strada, al mare, senza alcun contatto ‘virtuale’ precedente, senza essersi mai scritti, e solo da quel momento avevano l’opportunità di conoscersi.
I ragazzi erano per così dire ‘costretti’ a imparare a conoscere una persona faccia a faccia, col passare dei giorni e con la condivisione delle esperienze. Al contrario, oggi i ragazzi si danno un primo sguardo sui social, scelgono la persona con cui vogliono relazionarsi sulla base di foto, video e frasi, e decidono se fare la prima mossa con un messaggio. Le relazioni che nascono sui social non hanno fondamenta solide come quelle nate da un incontro, infatti la durata media è decisamente bassa: un dato importante è proprio la durata di una relazione tra adolescenti, che è passata da 5-6 anni nel 1980/90 a soli 8-10 mesi nel 2025.
Ma non c’è nulla che possa impedirci di aiutare la nostra generazione a riflettere su come affrontare bene il rapporto con l’altro.
I genitori in primo piano dovrebbero aiutare i loro figli, limitando l’utilizzo degli apparecchi elettronici, soprattutto i telefoni, e sollecitandoli a vivere all’aria aperta e frequentare luoghi di aggregazione.
Anche se non proprio tutto vien per nuocere. In fondo in particolari situazioni internet è fondamentale per mantenere vicine persone altrimenti lontanissime. Pensiamo al 2020 e al lockdown: alcune applicazioni divennero molto popolari e per decine di milioni di ragazzi in tutto il mondo furono un’ottima opportunità, perché diedero loro la possibilità di conoscersi e restare in contatto, nonostante le difficoltà della pandemia. Tuttavia è sempre bene ricordare che una relazione reale è più emozionante, sicura e bella di una virtuale. Spero che questo messaggio arrivi ai giovani, in modo da far capire loro che nulla è perduto e che c’è ancora speranza per le generazioni future.
L’infanzia di Lewis Hamilton, il grande pilota di Formula Uno, non è stata sempre facile. A scuola veniva costantemente deriso a causa del colore della pelle, i compagni lo chiamavano ’negro’ o gli tiravano addosso banane per umiliarlo. Lewis si tenne tutto dentro, non voleva mostrarsi debole. Nel 1991 sbocciò la sua passione per i motori. La gente ridacchiava: sembrava impensabile che Lewis potesse coronare il suo sogno.
Ma il ragazzo si dimostrò un fenomeno. Quando nel 2007 approdò in Formula 1, arrivò il suo primo podio; nella sua prima stagione sfiorò il titolo mondiale, un traguardo pazzesco. Nel 2010 iniziò a «combattere» con i campioni e vincere. Oggi Lewis è un campione riconosciuto, amato e apprezzato, ma non dimentica il suo passato, le sofferenze di quando era un ragazzo deriso ed escluso. Per questo il pilota ha creato la fondazione Mission 44 e l’organizzazione Ignite.
È opinione comune che il comportamento dei giovani sia peggiorato rispetto al passato: i ragazzi appaiono aggressivi, schivi e poco empatici, superficiali sia a scuola che in famiglia, e non si preoccupano delle cattive abitudini che potrebbero condurli a terribili conseguenze. Un esempio è l’hikikomori, una patologia che costringe i giovani a chiudersi nella propria stanza, e in alcuni casi tagliare definitivamente le linee sociali reali, quelle al di fuori dei social media. L’isolamento può portare alla depressione, alla perdita di contatto con la realtà, a problemi scolastici, all’esclusione dal mondo esterno e dalla famiglia. Riguarda tipicamente adolescenti o giovani in transizione verso l’età adulta. I maschi si dedicano maggiormente al gaming online, mentre le ragazze al sonno, alla lettura e alla Tv.
Questi ragazzi hanno bisogno di essere aiutati: in Italia esiste un’associazione che offre chat regionali in cui i ragazzi posso-no discutere e condividere il loro stato d’animo e il loro disagio. Si è rivolto ad essa Luca, 25 anni, che ha vissuto l’isolamento e la solitudine. Luca racconta che il giorno e la notte erano identici, mangiava e dormiva a qualsiasi ora, aveva perso tutti i suoi amici, e lo schermo era uno «stargate», un portale per un altro universo. Gli chiedono: «Esiste una cura?» E Luca espone una cura molto semplice ma efficace: «Scappate da quel computer!».
La pagina di oggi è stata realizzata dagli alunni della scuola secondaria di Maltignano, supportati dalla professoressa Laura Gabrielli. L’articolo di apertura è opera di Federico Marcolini della classe 3B. Gabriele Catena, 3B, ha firmato il pezzo su Hamilton; Filippo Maria Fedele, Giacomo Reginelli, Leonardo Di Matteo, Daniele Di Pietro e Leonardo Luzi (classe 3B) sono gli autori dell’articolo sui rischi del web in termini di isolamento. Coordinatrice Giovanna Angelini.